La magistratura di Naypyidaw ha condannato a quattro anni di carcere Aung San Suu Kyi, agli arresti in luogo ignoto dal golpe del 1 febbraio scorso quando la giunta militare ha preso il potere in Myanmar.

La leader della Lega nazionale per la democrazia si vede così comminare la prima sentenza, colpevole di incitamento e violazione delle regole Covid19 ai sensi di una legge sui disastri naturali. Un pena modesta quanto ingiusta se non fosse che i quattro anni per una colpa montata ad arte andranno a sommarsi a un’altra decina di capi di imputazione che possono farle comminare la galera a vita.

LA SENTENZA E LA PENA – uguale a quella già inflitta all’ex presidente Win Myint – hanno visto alla vigilia della decisione della magistratura manifestazioni di piazza represse duramente e con una ferocia che si accompagna all’evidente scelta dei militari di non fare sconti: né alla Nobel, premier de facto che alle elezioni del novembre scorso aveva registrato un nuovo aumento dei consensi, né ai suoi sostenitori che domenica sono scesi nuovamente in piazza sfidando le forze dell’ordine. Nell’ennesima drammatica giornata – con manifestazioni in diverse aree di Yangon e del Paese – l’ex capitale ha pagato il prezzo più alto con almeno cinque persone uccise da un mezzo militare che si è lanciato sulla folla.

LA REAZIONE non si è fatta attendere e in serata la gente è scesa nuovamente nelle strade attaccando le forze di sicurezza. Il bilancio è incerto ma, secondo la stampa locale, sarebbero otto i soldati uccisi mentre diversi altri sono stati feriti. L’attacco più violento si sarebbe verificato alla stazione di polizia di Sanchaung, quartiere popolare di Yangon spesso teatro di forme di resistenza passiva e attiva. Rinchiusi in un luogo segreto, Lady e presidente aspettano che si decida in quale prigione la giunta deciderà di metterli. Decisione che potrebbe restare segreta per più di un motivo sia di ordine pubblico, sia diplomatico.

Finora infatti a nessuno è stato consentito di visitare la coppia agli arresti fin dall’inizio del golpe con migliaia di altri attivisti e dimostranti: quasi ottomila mentre quasi duemila sono riusciti a rendersi uccelli di bosco. Se la reazione popolare non si è fatta attendere aprendo l’ennesima stagione di protesta, la condanna della sentenza è unanime: dall’Alta Commissaria per i diritti umani all’Onu Michelle Bachelet – un «processo farsa» – al ministro degli Esteri britannico Liz Truss, che chiede la liberazione di tutti i prigionieri politici, ad Amnesty International che definisce «false» le accuse, all’europeo Joseph Borrell per cuiil verdetto è «motivato politicamente».

MA ARRIVANO anche precisazioni cinesi con Zaho Lijian, portavoce del ministero degli Esteri che «come vicino amichevole» si augura una «transizione democratica». Le critiche asiatiche son quelle che forse bruciano di più: come quelle del Giappone o del gruppo di “Parlamentari Asean (ex o in carica) per i diritti umani”: «Dal giorno del golpe, è stato chiaro che le accuse contro Aung San Suu Kyi e le decine di altri parlamentari detenuti non sono state altro che una scusa della giunta per giustificare la loro presa illegale del potere.

Questa sentenza – aggiungono i membri del gruppo che sprona l’Associazione regionale del Sudest asiatico di cui il Myanmar fa parte – è un’ulteriore prova che, per il bene della propria credibilità e del proprio futuro, l’Asean deve tenere il punto sulla legalità e continuiamo a chiedere che bandisca tutti i rappresentanti della giunta dai suoi incontri, impedisca ai generali di viaggiare nella regione e che si impegni con il governo di unità nazionale debitamente eletto».

Un chiaro riferimento al Nug, l’esecutivo clandestino che anche ieri ha fatto sentire la sua voce attraverso il portavoce, dottor Sasa: «Oggi è un giorno vergognoso per lo stato di diritto… la comunità internazionale deve prendere di mira ulteriormente i militari, il loro personale e le aziende» che collaborano col regime.