Alla fiera milanese Tempo di libri, c’era anche la scrittrice R.J. Palacio, che ha al suo attivo una serie di romanzi di cui il capostipite è Wonder (in Italia pubblicato da Giunti), sei milioni di copie vendute, tradotto in 47 paesi e un film in arrivo: a novembre in America per la regia di Stephen Chbosky, con Julia Roberts, Jacob Tremblay, Owen Wilson, e nel 2018 sui nostri schermi.

Dopo le avventure del protagonista Auggie, affetto dalle sindrome di Treacher Collins, che ne deforma i tratti del volto (procurandogli non pochi problemi di socializzazione a scuola e una serie di colpi da schivare), sono seguiti i libri dedicati ai suoi amici/nemici: Julian, Christopher e Charlotte (sempre per Giunti). Palacio, pseudonimo di Raquel Jaramillo – ha origini colombiane – ha esordito nella letteratura per ragazzi con questa storia-metafora della diversità, che attraversa l’adolescenza facendo saltare gli steccati che proteggono il concetto di «normalità».

Perché dopo «Wonder» ha deciso di raccontare la storia da differenti punti di vista? Le emozioni di Auggie non erano sufficienti?
I personaggi del mondo di Wonder sono molto diversi fra loro. Rappresentano la quotidianità di New York, la mia città. Lì le geografie sono molteplici; se si sale su una metropolitana, ci si può trovare insieme a persone provenienti da una cinquantina di paesi differenti, fianco a fianco. È un bella sensazione. Ho scelto di raccontare la storia da più punti di vista perché il mio obiettivo era narrare la vicenda esistenziale completa di Auggie, e questo includeva il suo impatto sugli altri, ho dovuto tener conto anche dei pensieri di chi gli era vicino.

Come è arrivata alla scrittura?
Sono sempre stata una scrittrice segreta e, soprattutto, un’avida lettrice. La mia carriera mi ha portato su un percorso differente per molti anni, ma non mi sono mai allontanata realmente dalla scrittura e non ho mai perso l’ambizione della mia prima infanzia. Credo che stessi solo aspettando il libro giusto, quello che mi avrebbe colpita.

Qual è, secondo lei, la maggiore difficoltà che può incontrare oggi l’editoria per i lettori più giovani?
Non sono sicura che ci siano davvero tali difficoltà. Negli Stati Uniti, almeno, la letteratura per l’infanzia e l’adolescenza finalmente sta ricevendo il rispetto che merita. I libri per bambini sono i più resistenti, in termini di volumi stampati: i genitori sembrano voler continuare a comprare libri fisici, oggetti «tangibili» per i propri figli, in cui le pagine si possano girare. È un’esperienza diversa rispetto alla lettura in e-book, che ha comunque un suo fascino.
Penso che la letteratura per l’infanzia sia diventata meravigliosamente di tendenza: gli adulti si rendono conto che possono trovare non solo una ottima scrittura, ma anche grandi storie, grandi narrazioni, grandi argomenti. E ogni racconto può essere, allo stesso tempo, popolare e «alta letteratura»