E nel breve istante che è oggi / nel sogno mi turba una selvaggia speranza / ché ho sentito sussurrare / della vita su altre stelle. È il 1950 e una giovanissima Audre Lorde, allora sedicenne, si misura con i primi esperimenti poetici. Ancora quella ragazza non aveva coscienza che il suo nome sarebbe stato ricordato come una delle più importanti pensatrici e poete del Novecento. Dieci libri di poesie, e molti altri tra prosa, scritti critico-politici insieme a interviste preziose, ci consegnano – a quattordici anni dalla sua scomparsa – una figura dalla lingua severa e adamantina vocata ad un preciso senso politico principalmente rivolto alle donne, sorelle, spesso amanti e compagne di militanza.

Nata ad Harlem, ha vissuto a New York da dove poi si è spostata in Messico, Guatemala e Berlino per decidere di trascorrere i suoi ultimi anni nell’isola caraibica di Saint Croix. Nella sua vita di poeta nera femminista madre lesbica guerriera – come lei stessa amava presentarsi – il suo sguardo non ha mai abbandonato il carattere internazionalista. Ma la geografia percorsa da Lorde è stata anche la convinzione che il pensare potesse corrispondere con il sentire. E che quella consapevolezza fosse capace di sprigionare una differenza creativa e costitutiva che avrebbe potuto spostare le donne, in particolare nere, dall’oppressione. Alcuni dei suoi frammenti poetici come quello sopracitato sono stati riportati dalla stessa autrice nell’82 all’interno di Zami. A New Spelling of My Name, di cui la traduzione italiana di Grazia Dicanio verrà pubblicata a maggio a cura di Liana Borghi per le edizioni ETS di Pisa. Il libro si intitolerà appunto Zami. Così riscrivo il mio nome ed è una «biomitografia».

Si tratta infatti del tragitto di Lorde attraverso la propria infanzia e adolescenza, ma anche di una scrittura in cui la scansione cronologica degli eventi si identifica nel posizionamento rivoluzionario che si apre e si chiude nella scoperta della relazionalità tra donne. Zami è sia il nome Carriacou che Lorde sceglie per indicare donne che vivono insieme come amiche e spesso amanti, e anche il radicamento irrinunciabile nella cultura nera indoamericana nella quale lei per prima riconosce il primo antidoto contro la doppia arroganza patriarcale.

La storia qui si ferma alla fine degli anni Cinquanta, cogliendo i prodromi di ciò che ha significato per lei l’attraversamento di alcuni accadimenti fondanti. Dalla stessa Grande Depressione di cui la piccola Audre conosce solo i riverberi ad Harlem, fino alla seconda Guerra mondiale e il maccartismo, alcune esperienze che saranno dirimenti nella sua vita assumono già il valore di una conoscenza sia materiale che simbolica. La violenza e la discriminazione verso la cultura nera, le rivolte razziali del ’43, l’omofobia e il sessismo, ma anche e soprattutto la costruzione di un’identità mobile. Lorde studia, scrive di notte, affronta la povertà e si mantiene con lavori da infermiera, operaia e bibliotecaria. Impara così a nominare il mondo e le cose che lo compongono. E la sua lingua, che esplora da subito poeticamente insieme a gruppi scolastici e poi separatisti, è già politica.

Ma Zami è anche la scoperta del proprio corpo e le sue mescolanze sensoriali ed erotiche fino alla maturazione di una collocazione politica definita «casa della differenza». Qui un’anticipazione della traduzione tratta da Zami: «Mia madre era una donna davvero potente. E lo era in un periodo in cui la combinazione di parole donna e potente era quasi impronunciabile e inesprimibile nella lingua comune bianca americana, tranne o purché affiancata da qualche aberrante aggettivo esplicativo come cieca, gobba, o pazza, o nera. Perciò mentre crescevo, donna potente equivaleva a qualcosa di molto diverso da donna ordinaria, dal semplice ’donna’. D’altro canto di certo non equivaleva a ’uomo’. Allora cos’era? Qual era la terza definizione? Da bambina ho sempre saputo che mia madre era diversa dalle altre donne, nere o bianche. Credevo che fosse perché era mia madre. Ma diversa come? Non ne sono mai stata sicura. C’erano altre donne delle Indie occidentali in giro, molte nel nostro vicinato e in chiesa. C’erano anche tante donne nere con la pelle chiara come la sua, in particolare fra le donne della parte bassa dell’isola. Le chiamavano ossirossi mulatte (Redbone). Diversa come? Non l’ho mai saputo. Ma per questo credo ancora oggi che ci siano sempre state lesbiche nere – nel senso di donne potenti e orientate verso le donne – che sarebbero morte piuttosto di usare quel nome per definirsi. Mia madre inclusa».

In questo clima vivace va accolta con altrettanto interesse un’altra prima e imperdibile traduzione italiana, a cura di Margherita Giacobino e Marta Gianello Guida, che ugualmente verrà pubblicata a maggio. Si tratta di Sorella Outsider. I saggi politici di Audre Lorde, per le edizioni Il Dito e la Luna. Una miscellanea corposa e coerente che comprende le tre raccolte: The Cancer Journals (1980), Sister Outsider (1984) e A Burst of Light (1988). Sono compresi interventi a convegni, articoli e brani di diario, questi ultimi segnati soprattutto dalla sua vicenda con il cancro. E ci sono anche due interviste, una in particolare lunga e importante con Adrienne Rich. Il volume è autofinanziato ed è stato attivato un fund-raising al quale si può partecipare visitando lo spazio http://sorellaoutsider.blogspot.it. Il progetto editoriale, desiderato tra le altre dalle donne dell’Altra Martedì, Circolo lgbt Maurice di Torino, ha avuto già un buon riscontro nelle varie presentazioni a Cagliari, Brescia, Milano, Trento, Bologna, Ferrara, Reggio Emilia e Roma.

Entrambe le traduzioni si dispongono in uno sfondo di attenzione politica intorno ad Audre Lorde che in Italia è corroborata dal cerchio competente e amoroso di esperienze politiche disseminate anche su web. Per citarne alcune, si pensi al blog Marginalia di Vincenza Perilli, al collettivo Mfla per le frequenze di radio Onda Rossa, o al lavoro instancabile di Fuoricampo Lesbian Group. Proprio quest’ultimo, che dal 17 al 21 settembre di quest’anno dedicherà Some Prefer Cake, Bologna Lesbian Film Festival, alla figura di Lorde, ha organizzato nel 2006 a Bologna il primo convegno internazionale interamente dedicato all’opera e al pensiero della femminista caraibica in cui si sono potute confrontare studiose, amiche e compagne di attivismo di Lorde provenienti da tutto il mondo; tra le altre, presente anche la regista Dagmar Schultz alla quale dobbiamo il bel documentario del 2012 Audre Lorde – The Berlin Years 1984 to 1992.

Come ricorda Lorde in Sorella Outsider, oggi più che mai occorre «imparare a fare delle nostre differenze una forza. Perché gli strumenti del padrone non smantelleranno mai la casa del padrone». Bisogna capire dunque che «la forza delle donne sta nel riconoscere che le differenze tra noi sono creative». E c’è anche da augurarsi che qualche editore intelligente possa prima o poi mostrare interesse per la traduzione italiana delle opere poetiche di Audre Lorde, così preziose che si stenta a credere non sia ancora accaduto. «La poesia» infatti «non è un lusso. È una necessità vitale della nostra esistenza. La poesia ci dà modo di nominare ciò che non ha nome, così da poterlo pensare. Fino ai più lontani orizzonti, le nostre speranze e paure sono lastricate di poesia, tagliata nella roccia delle nostre vite quotidiane». Perché «i padri bianchi ci hanno detto: penso, dunque sono. La madre nera dentro di noi – la poeta – ci sussurra in sogno: sento, dunque posso essere libera».

Una profonda pensatrice e poeta come Audre Lorde può raccontarci di quel sogno di grandezza, che passa dal ritmo della lingua alla coscienza creativa e politica della libertà.