Annoiato dalle feste, ormai trascorse, riapro il mio archivio e mi imbatto in una cartellina arancione, contenente cinque poesie dattilografate di Pier Paolo Pasolini. Risalgono al 1968-70, destinate a Nuovi Argomenti, la rivista di cui era direttore con Moravia.

Io ero l’umile correttore di bozze. Usciranno in volume insieme a quelle di Trasumanar e organizzar, nel 1971.

Come è noto quel libro rappresenta la svolta della poesia pasoliniana, tra diario, documento e reportages africani, «da poeta su ordinazione a poeta dilettante e parassita», accosto alla cronaca politica di quegli anni e a quella personale, dalla strage di piazza Fontana al caso Braibanti, alla storia finita con Ninetto Davoli fino all’avventura con Maria Callas. I dattiloscritti sono ingrigiti dal tempo.

Presentano correzioni con la biro, che vanno da semplici cambi di sostantivi e di aggettivi, a versi cancellati,a quelli dove non sono rispettati gli spazietti. Walter Siti è stato il primo a parlare di varianti ballerine, di una poesia mai compiuta, di chi voleva esprimersi partendo dal grado più basso, poeta dell’aria. Non più il gigantesco io de Le ceneri di Gramsci, ma l’io diviso alla Laing. Non più le terzine dantesche ma la prosa poetica di Petrolio.

Nel dattiloscritto intitolato «Pio XII», il papa accusato di connivenza con i nazi-fascisti, trovo una nota che non compare nel testo definitivo e riguarda «Il Partito comunista che, in quanto Chiesa, è commovente». E dice: «Evidente anacronismo, ma la profezia non conosce nonché anacronismi, nemmeno diacronia, per sua natura». Nella poesia «Mirmicolalia», dedicata a Braibanti, trovo saltato il verso: «Chi lotta con ostinazione stupida/ al diavolo il dovere e viva lo SNIC». La Fiat Seicento diventa «macchina» e «purgata» cancella «sforbiciata» per tenersi accosto alla comunicazione più chiara e diretta.

Nella poesia «Propositi…» saltano questi versi rivelatori: «Va bene. Andiamo avanti. La prima idea mi è venuta a Torino(come si nota)/ leggendo un saggio della Noferi su Contini (così l’angelo provocatorio per eccesso di poesia in quella sua didattica definita negativamente (e prosasticamente non brechtiana)…». Si era forse avvicinato troppo alla poesia della critica, che pure altrove è presente.
Qui il linguaggio colloquiale e spesso blasfemo si mescola a ricordi di versi antichi, sia pure tradotti nell’oscura chiarezza a cui il poeta mirava, scardinando se stesso e i suoi vecchi versi.

In «Proposito di leggerezza», che la dice lunga sul suo desiderio contraddittorio e ballerino, alla «vita come lemma» aveva aggiunto «o non dilemma». La poesia Trasumanar e organizzar nella mia stesura sembra un lungo poema in prosa, alla Charles Baudelaire. I versi vanno a capo al limite del foglio. e si risente la prosa del frammento che splenderà poi in Petrolio,
anticipata qui nelle poesie per Maria Callas, che lo vedeva come padre, mentre egli si considerava figlio, ragazzo a vita.

Tralascio le tante varianti per così dire stilistiche. La filologia, è noto, con l’avvento del computer che Pasolini non poteva conoscere, è scomparsa e questi dattiloscritti corretti di pugno dall’autore emozionano fortemente chi dapprima scrive a penna e solo dopo trascrive i versi nel computer. Rileggendo l’opera intera ho risentito la voce dolce e suadente del poeta, quando non si considerava più un borgataro, ma diceva di essere un «borghese» che sperimentava una nuova poesia o mi raccomandava di correggere bene le bozze, a volte con refusi.

Poesia civile come altre mai, quella di Trasumanar e organizzar, dove carità e bellezza – pensate ai tempi attuali – vanno a braccetto contro tutti i neo-zdanovismi della nuova generazione, dapprima invisa e dopo guardata con compassione per non aver conosciuto la poesia della tradizione. «Io non ho piu il sentimento/ che mi fa avere ammirazione per me».

E c’è anche una poesia su Nixon, ad esempio, che sembra scritta oggi contro Trump, dove quel politico parla come i suoi votanti. Un Nixon grillino e salviniano, davvero comico.