Tra i miei contatti FB ce n’è uno che ho conosciuto qualche anno fa in sala al festival di Venezia e tò, guarda caso, fa l’attore. È in linea di massima un bel ragazzo che si avvicina ai trenta e con la disinvoltura propria di chi ha imparato, in accademia, a usare le parole dai drammaturghi classici mi avvicinò con la battuta pronta, spigliato e allegro compagno di bracciolo. Alla fine del film mi propose di scambiarci i numeri, cosa a cui non avevo alcun motivo valido per oppormi: non era corteggione, faceva pubbliche relazioni avendo saputo che ero una regista.
L’anno successivo in uno dei controviali del lungolido lo incrociai nella corsa ognuno verso un obiettivo diverso, sala cinematografica, cocktail di una associazione, festa di un film. L’amicizia sul social network, che, secondo mie regole, concedo solo a chi conosco di persona, avvenne come naturale conseguenza, lui al nord, io al centro-sud. Adesso sono qui, distante centinaia di chilometri dal lido e dal festival, mi sveglio all’alba non per mettermi in fila con un badge al collo ma per pensieri agitati o amene attività burocratiche di Cup, in mente film e film visti ricordati rivisti in cerca di un messaggio personale, un sostegno mirato, un consiglio consono.

E riesco a immaginare solo grandissime camminate di schiena – non solo inquadrature strette, di nuca, alla Dardenne ma dei totali – in cui la nostra protagonista passo dopo passo, senza un filo di colonna sonora, fende la città vuota, semibuia dell’alba alla ricerca della sua verità. Sarebbe un film cupo, dal sapore un po’ orientale, come quei film taiwanesi di Tsai Ming-liang (Vive l’amour 1994, Et là-bas quelle heure est il, 2001) o di Hou Hsiao-hsien (Città dolente», 1989, Millennium mambo, 2001), in cui piove sempre, in cui gli innamorati si amano assai ma non si sovrappongono mai, figurine ritagliate nella carta, impalpabili e fragilissime, possibili solo da incollare una vicino all’altra su un quaderno cinese nero dagli angoli rossi che presto andrà perduto.

Cosa mi ha colpito di Venezia negli ultimi giorni da questa distanza siderale: una frase della regista israeliana Rama Bushtein (Trough the wall in Orizzonti), immagino pronunciata in conferenza stampa (le mie fonti non lo dichiarano): «Vi dovete buttare comunque, anche prima di sapere se nella piscina c’è l’acqua» (incoraggiante); la performance di donne obese nude, a parte stivaletti e cappellino, in apertura del film Nocturnal animals di Tom Ford che, da vecchia volpe, dichiara candidamente «Volevo subito attirare l’attenzione»: il blocco della pellicola in sala durante la proiezione ufficiale, dopo i primi venti minuti, lo punisce con uno scherzetto degno di Zeus; le modalità da starlette sulla croisette di Cannes apprese da attrici nostrane che cercano il quarto d’ora di celebrità warholiano tramite spacchi vertiginosi su inguini glabri e inermi: scatto fotografico apparso e, all’istante, diventato virale sul web. Ma guarda un po’ chi c’è dietro la scosciata in fucsia? L’attor giovane milanese conosciuto anni fa… Di strada ne ha fatta per stare sul tappeto rosso, anche se ne sono all’oscuro: mi fa tornare in mente una vecchia barzelletta su un personaggio anonimo e il papa affacciati al balcone del Vaticano, che chiudeva con una battuta scema: Chi è quel tipo buffo vestito di bianco vicino a Persichetti?».

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