«Se toccano questi resti, dovranno vedersela con noi». Al Cuartel de la Montana, Nicolas Maduro posa le mani sulla tomba del suo predecessore, Hugo Chavez, morto il 5 marzo del 2013. Al mausoleo che lo ricorda, ogni giorno all’ora della morte gli rende omaggio la Guardia d’onore. Intorno al presidente, lo staff di governo e i vertici delle Forze Armate, i deputati rieletti e gli invitati internazionali: esponenti delle sinistre latinoamericane ed europee, venuti a condividere le riflessioni post-sconfitta dopo le parlamentari di domenica scorsa.

Le destre hanno stravinto, confermando la previsione dei sondaggi internazionali, che per mesi hanno accompagnato la poderosa offensiva mediatica contro il governo. «Quel che non distrugge, fortifica», ripete Maduro cercando di rimotivare i suoi. Nonostante la guerra economica della grande impresa privata, i colpi di stato sventati, l’entrata in forze delle destre latinoamericane e dei loro alleati europei di ex sinistra, il presidente è rimasto in piedi, crescendo in statura politica e imponendo ai padroni del mondo l’insopportabile affronto di un operaio a capo dello Stato.

Domenica, il chavismo ha ottenuto 5.599.025 milioni di voti, contro i 7.707.422 dei vincitori. I 18 partiti delle destre, riuniti nel cartello della Mesa de la Unidad Democratica (Mud) hanno 112 deputati, il 67%, il Psuv ne ha 55, pari al 32,93%. Superando i 111 deputati, il cartello Mud ha la maggioranza dei due terzi, che consente, tra l’altro, di convocare una nuova Assemblea costituente, approvare leggi organiche, designare i rettori del Consiglio nazionale elettorale, rimuovere i magistrati del Tribunale supremo di giustizia. E cacciare una volta per tutte i medici cubani dai Centri di diagnostica integrata (Cdi) in cui prestano assistenza anche a chi ha avversato il governo).

I Cdi sono stati i primi bersagli dell’appello di Henrique Capriles Radosky, candidato della Mud sconfitto di misura da Maduro nel 2013. Allora, le violenze post-elettorali provocarono 11 morti chavisti, fra i quali un bambino, e molti medici cubani hanno rischiato di bruciare insieme alla struttura in cui lavoravano. «La destra riconosce il Cne solo quando vince», hanno detto molti analisti internazionali.

Una borghesia aggressiva e parassitaria occuperà il parlamento a partire dal 5 gennaio, ansiosa di spazzare via un laboratorio di alternative al capitalismo, che ora riflette anche sui propri errori. Il vicepresidente Jorge Arreaza torna da una infuocata discussione nella piazza Bolivar, organizzata dallo storico collettivo radicale della Esquina Caliente, che ha nella piazza un presidio permanente: non c’è stato controllo nell’erogazione delle finanze statali ai consigli comunali, alle comuni, c’è stato troppo assistenzialismo e poca politica, troppo burocratismo, hanno detto i militanti. Il Psuv ha indetto per oggi un congresso straordinario.

Il chavismo ha ricevuto «una sberla salutare» (come l’ha definita Maduro) anche nel quartiere del 23 Enero, dove si trova il Cuartel de la Montana. Da qui si è organizzata la cacciata del dittatore Marco Pérez Jimenez, nel ’58. Da qui è partita la rivolta contro l’Fmi – il Caracazo, scoppiato nel febbraio dell’89. Anche da qui, il chavismo vuole ripartire su nuove basi.

Dagli Usa e dai centri economici internazionali, i grandi finanziatori premono, chiedendo misure drastiche alla Mud. Coi numeri che hanno, le destre possono decidere quello che vogliono. Il tono è stato annunciato subito da Ramos Allup: ripristinare il latifondo mediatico, e poi quello terriero, eliminare le leggi sul lavoro e sul prezzo giusto (che i commercianti hanno sempre violato), svendere gli idrocarburi, ospitare le basi militari Usa e rompere la tradizione di pace delle Forze armate bolivariane inviandole in missioni all’estero. E, prima di tutto, «togliere le ceneri del pazzo da un luogo dello Stato».

Il «pazzo» è naturalmente Chavez e il luogo pubblico è il Cuartel della Montana. E poco importa se l’edificio militare reca in cima una gigantesca scritta che ne ricorda il significato, 4F: il giorno in cui Chavez ha tentato di rovesciare la «democrazia camuffata» di allora con una ribellione civico-militare. Un sistema di alternanza fra il centro-sinistra (Ad, a cui appartiene Allup) e il centro-destra (Copei, a cui appartengono altri membri della coalizione Mud), con l’esclusione dei comunisti e dei militari. In quegli anni, il Venezuela ha conosciuto diverse guerriglie. E in quella democrazia molto lodata da Washington si sono verificate torture e desaparicion. Ora, il presidente annuncia il primo dei decreti che illustrerà nel corso della serata: il mausoleo di Chavez e il luogo che lo contiene diventano proprietà della Fondazione Hugo Chavez, gestita dalla famiglia. L’altra importante decisione è quella di consegnare ai lavoratori la tv e la radio dell’Assemblea nazionale, Antv e An radio. Allup aveva chiamato «cloache» i giornalisti e annunciato che li avrebbe licenziati tutti.

Giornalisti e tecnici si sono mobilitati, insieme alle altre categorie minacciate dal ritorno delle destre. E anche nei loro confronti, Maduro ha annunciato un altro scudo protettivo: un decreto di stabilità impedirà di licenziare i lavoratori per tre anni. Il presidente dell’Assemblea, Diosdado Cabello, dirà poi che i lavori del Parlamento continueranno secondo l’agenda fino al 5 gennaio, e ratificheranno anche la nomina dei componenti del Tribunal Supremo de Justicia, il proseguimento delle Misiones e l’economia comunale (il chavismo ha la maggioranza dei municipi). Maduro ha promesso che, se non verrà consegnata entro il 31 dicembre la milionesima casa popolare ammobiliata, si taglierà un baffo. Scherzando, ha coinvolto nella promessa anche il baffuto ex presidente dell’Honduras Manuel Zelaya, presente all’incontro, deposto con un colpo di stato «istituzionale» nel 2009. Ha chiesto ai ministri di rimettere gli incarichi per il rinnovo dell’esecutivo: all’insegna di «un nuovo rinascimento» basato sul «governo della strada», legato ai territori e in dialogo permanente con i deputati chavisti in parlamento.

Ma il Venezuela è una repubblica presidenziale: per le destre, l’obiettivo da abbattere (con il golpe o con un referendum revocatorio) è sempre stato Maduro. Il pubblico si alza in piedi: Maduro, amigo, el pueblo esta contigo, «Maduro, amico, il popolo è con te».