C’è aria di rivolta tra i grillini romani. Lo stop imposto da Beppe Grillo alla decisione presa martedì dalla rete di indicare il nome di un assessore per la giunta del sindaco Ignazio Marino non è piaciuto alla base del movimento, stanca di subìre pressioni indesiderate. Ma soprattutto sbalordita dal fatto che, a più di 48 ore di distanza, da parte di Marcello De Vito, Daniele Frongia, Virginia Raggi ed Enrico Stefàno, i quattro consiglieri pentastellati in Campidoglio, ancora non sia arrivata una sola parola di spiegazione sul perché non abbiano rispettato, perdipiù dopo averlo chiesto, il parere dei militanti. «E’ la prima volta che un sondaggio viene stroncato, e questa decisione ci ha messo in ginocchio», ammette un attivista.

In realtà ieri i quattro un post lo hanno pubblicato, ma solo per smentire le affermazioni fatte da Marino quando ha detto che sono stati loro a chiedergli di presentare il curriculum per un posto in giunta. La questione vera, però, è un’altra e sia De Vito, candidato per il M5s alla poltrona di sindaco e ora capogruppo in Campidoglio, che gli altri, lo sanno bene. Al sondaggio di martedì hanno partecipato più di mille attivisti, 800 dei quali hanno dato il via libera all’indicazione del nome. «Perché Grillo ha cambiato le carte in tavola?» si chiede adesso chi ha votato. E soprattutto: «Perché i nostri consiglieri hanno accettato il diktat? Siamo un movimento che vuole essere parte attiva in tutte le decisioni, se questa certezza viene meno, allora crolla tutto». «Caro Beppe, ti stai sbagliando e non è la prima volta», ha detto subito Dante Santacroce, candidato regionale M5S. «Non partecipare alla vita politica della città è l’unico suicidio reale che non possiamo né dobbiamo permetterci». E nelle comunicazioni interne tra attivisti ci sarebbe chi chiede le dimissioni dei consiglieri.

Se non le dimissioni, oggi i quattro potrebbero provare a rispondere alle domande degli attivisti con un comunicato. Di sicuro sono a dir poco imbarazzati. «Ma dove abbiamo sbagliato? Abbiamo fatto tutto secondo le nostre regole, e poi siamo appena all’inizio del nostro lavoro, se cominciamo così…», si sono sfogati con lo staff.
In realtà il «caso romano» sarebbe solo l’ultimo atto dello scontro in corso anche nella capitale tra fedelissimi a Grillo e quanti, invece, reclamano una maggiore autonomia. Al punto che non manca chi ipotizza che dietro l’intervento del leader ci sarebbe in realtà la telefonata di qualcuno che lo avrebbe convinto che a Roma si stava per celebrare un’alleanza tra Marino e il M5S. Da qui la decisione di agire subito, fin da martedì mattina, per scomunicare il sondaggio lanciato da De Vito tra gli attivisti. E altre telefonate sarebbero seguite anche nel pomeriggio, durante la riunione fiume in cui i quattro consiglieri, uniti tra loro, avrebbero tentato per ore ma senza riuscirci di spiegare a Grillo quanto stavano tentando di fare. Vale a dire un’operazione politica e non un’alleanza.

«Non si può continuare così», si sfoga un attivista. «A Roma abbiamo circa 30 consiglieri municipali, mentre nei comuni di tutta Italia ci sono centinaia di consiglieri M5S. Non si può governare tutto da Genova seguendo le indicazioni di Grillo, perché così si paralizza tutto».

Sabato 6 luglio in un albergo capitolino si terrà l’assemblea regionale del movimento e saranno presenti anche molti parlamentari. Sarà l’occasione per parlare di come sono andate le elezioni e per affrontare il caso romano. Non è detto, però, che l’appuntamento non diventi anche il pretesto per una prima resa di conti tra le anime del movimento.