In che cosa consiste la qualità del cibo? E soprattutto, come la si certifica?

A queste domande si possono dare due ordini di risposte: uno rimanda a criteri di valutazione e sistemi di certificazione che sono stabiliti istituzionalmente.

L’altro rimanda a una possibilità di scelta che parte invece a monte, dai criteri e dal sistema stesso.

Quest’ultimo è il tipo di risposta che verrebbe dato da Genuino Clandestino, esponente fra i più noti in Italia di quello che viene chiamato attivismo alimentare.

Genuino Clandestino nasce circa 7 anni fa ed è conosciuto soprattutto come movimento di resistenza contadina, che sostiene e mette in rete esperienze di ritorno a un uso della terra naturale e tradizionale, libero dalle leggi del mercato.

Richiama a quelle piccole aziende e produttori che troviamo nei mercati informali, a vendere i frutti di sementi antichi, di pratiche artigianali, di regole semplici e del rifiuto di una produzione intensiva, massificata, artificiale.

Ma questa è solo l’immagine, anche un po’ naif, di una pratica che oltre a ragioni profonde ha anche prospettive rivoluzionarie e non solo a livello delle singole persone ma anche collettivo.

In estrema sintesi, Genuino Clandestino lavora su due temi fondamentali: l’accesso alla terra, ovvero il recupero, la valorizzazione e la promozione della piccola produzione dei territori, e poi quello della certificazione partecipata. E qui riprendiamo la risposta alla domanda iniziale. Genuino Clandestino nasce anche per far passare il messaggio che la qualità del cibo non nasce e cresce solo dentro le gabbie di norme rigide, ma anche dalle mani di quei contadini e allevatori che amano la terra e credono nel cibo come valore e diritto. Per questo motivo si sono inventati un sistema di regole e norme autonomo sia per la certificazione biologica che per quella igenico-sanitaria, tramite un percorso orizzontale e condiviso. Un vero e proprio sistema di certificazione alternativo dotato anche degli strumenti di controllo: quella che iniziamente era una semplice autocertificazone è diventato un meccanismo più articolato fatto di visite alle aziende dei produttori che vogliono far parte della rete e discussioni assembleari: un meccanismo che scambia saperi , diffonde solidarietà e crea anche spazi di rivendicazione.

Quest’ultimo aspetto è stato ritenuto particolarmente interessante da Alexander Koensler, antropologo tedesco che ha reso alcune realtà aderenti a Genuino Clandestino oggetto di un progetto di ricerca di due anni, The Peasant Activism Project sostenuto dalla Queen’s University di Belfast in collaborazione con l’Università di Perugia. Obiettivo del progetto è capire le opportunità e i limiti di una pratica di certificazione orizzonatale ed inclusiva, alternativa a quella istituzionale, come quella messa in pratica da Genuino Clandestino. Secondo Alexander, l’Italia in generale offre esempi di attivismo neorurale molto interessante per vari motivi: per esempio dal punto di vista della composizione: vi troviamo attivisti anarchici, giovani che dopo la crisi del 2008 hanno deciso di tornare alla terra, reduci di autonomia operaia etc., un mix particolare che lo rende molto vivace. E dentro questo ampio scenario di movimenti neorurali, l’attivismo alimentare porta degli elementi unici e di novità, rispetto per esempio ai discorsi sul biologico sul modello Slow Food. C’è qualcosa di più.

Lo dice il nome stesso: genuino perché c’è la qualità, e soprattutto clandestino perché si produce e distribuisce anche al di fuori delle regole. Ed è questa sfida al potere da non sottovalutare: movimenti come Genuino Clandestino sono passati dalla semplice opposizione a un certo modo di fare certificazione, egemonico, costoso, standardizzato, a una pratica apertamente e visibimente fuori dalle regole che consiste nella riappropriazione di un diritto, quello di certificare in maniera democratica e accessibile. In altri paesi europei, dice Alexander, questo sarebbe impossibile.

Il lavoro di campo del progetto consiste nell’osservazione partecipata di alcuni piccoli produttori in centro Italia. Le loro esperienze, dice Alexander, diventano un prisma per comprendere gli schemi di potere dentro cui siamo ingabbiati. Fa l’esempio di una giovane coppia che qualche anno fa ha deciso di andare a vivere nelle campagne attorno a Terni con 40 capre. Inizialmente vivevano in un camper, adesso sono riusciti a costruirsi una sorta di casa. In occasione della festa di un paese vicino gli viene richiesta una capra. Ma le spese per il trasporto in piena regola dell’animale erano tali da rendere impossibile la transizione: il costo dell’animale sarebbe diventato troppo alto.

Si potrebbero fare molti altri esempi di quello che secondo Alexander è un conflitto d’avanguardia, perchè questa idea di regolamentare e standardizzare attraverso la certificazione in nome della trasparenza è una forma di potere visibile ovunque ed uno degli strumenti del neoliberismo. La creazione di un sistema di certificazione partecipata è interessante dal punto di vista dell’immaginario politico: un’idea non preconcettualizzata, nata con pratiche immaginative da non sottostimare perchè incarna la sfida al potere costituito e rappresenta un’utopia concreta, basti pensare alle forme di microeconomia che crea.
Inoltre queste certificazioni alternative attivano qualcosa che quelle istituzionalizzate non riusciranno mai a creare: passione e fiducia. Mi certifico perchè ci credo, non perché devo.