Dire di un amico nel giorno della sua scomparsa è lottare con la tristezza perché non impedisca la parola. Inoltre, da qualche parte, mi pare di sentire la voce ironica dell’amico che mi invita a non prestarmi al rituale evocativo. Resisto. E se lascio nel silenzio i ricordi di un’amicizia –trent’anni e più di dialoghi, incontri, piccole inziative editoriali, compresa una rivista come “il gallo silvestre” (1989-2004)- non posso però tacere del poeta, perché pubblica è la sua parola, e i lettori possono continuare ad ascoltarla soprattutto nelle due raccolte della collana bianca einaudiana : Notizie dalla necropoli (2005), summa di un lungo itinerario, e Carte da sandwich (2013). E andrebbe ritrovata, quella parola, nelle tante plaquettes che Attilio stampava o faceva stampare un po’ alla macchia, per quella passione dell’editoria marginale e antimercantile che ben si coniuga con un amore puro della poesia. Il poeta, in scarto con ogni postura da poeta e anche con ogni dichiarata poetica, sapeva stare nel disincanto, nello spaesamento, nella spoliazione di senso. Povertà della parola : in questo grado zero della lingua si bruciavano orpelli e seduzioni e volute retoriche. Un esercizio di cancellazione congiunto, però, all’ironia, e all’autoironia (che era anche un tratto proprio della sua figura e del rapporto con gli amici). A questo si accompagna una disposizione clownesca, dunque irridente e malinconica, leggera e tragica, che può richiamare certi versi di Apollinaire o di Caproni. A partire dalla prima raccolta, Negativo parziale (1974), non sfuggita all’attenzione di Pasolini, fino alla sezione Versi a mezz’aria di Carte da sandwich, la ricerca di Lolini (a lungo collaboratore de il manifesto) ha modulando in tante forme il vuoto del senso, la privazione di ogni rosato orizzonte, e ha mostrato l’ ilarotragica mess’in scena delle quotidiane illusioni. Quanto alle figure che animano i versi, si tratta spesso di corpi-spettri, di zombi, di larve, tutte raffigurazioni deformi di un io specchiato nella perdita di senso. Il paesaggio della modernità è attraversato da personaggi che si muovono traballanti e incerti e deformi in un’aria il cui ossigeno è il disamore.

Ma lungo questa ricerca Attilio Lolini non ha mai rinunciato a fare affiorare nella scrittura poetica l’altra sua passione, quella per l’opera musicale. In versi che portano l’epigramma verso la sua stessa irrisione, affiorano modi atonali e falsetti propri della tradizione operistica italiana (ecco alcuni titoli di raccolte: Salomé, del 1979, Libretti d’opera del1984, Arie di sortita del 1989). Spesso si tratta di ariette che nella leggerezza e nell’apparente cantabilità mostrano il volto tragico dell’esistenza e l’insignificanza del quotidiano affanno. Lolini è autore anche di imitazioni che sono anzitutto dialoghi su registri consonanti, da L’Ecclesiaste, che uscì con una prefazione di Fortini, a Il viaggio di Baudelaire, a testi di Larkin, Benn, Lowcry, Jabès. Nel suo disincantato sguardo non ho mai rinunciato a scorgere un amore della vita compendiato nel duetto musica-poesia.