«Il sostegno finanziario alla Grecia è una decisione politica che deve essere presa dai decisori politici eletti e non dai banchieri centrali» ma «un accordo forte e credibile» e che arrivi «molto presto» è «necessario, non solo nell’interesse della Grecia ma dell’intera eurozona». In audizione al parlamento europeo dopo aver pranzato con Juncker (sul piatto proprio la questione greca) il presidente della Bce Mario Draghi fa un piccolo passo indietro rispetto al salvataggio dell’euro «costi quel che costi». La palla – avverte – è politica e per il capo della Banca europea risiede soprattutto sulle spalle dei greci. La Bce per ora non ritira il sostegno finanziario agli istituti ellenici ma «entrambe le parti sono invitate a fare uso della loro capacità di compromesso» per arrivare a un accordo. Con l’uscita della Grecia dall’area euro «entreremmo in un territorio inesplorato», avverte Draghi allargando il campo a tutta l’eurozona: «Nel medio e lungo periodo non siamo in grado di prevedere quali sarebbero le conseguenze».

Parole preoccupate e non troppo distanti da quelle del capo economista del Fmi, Olivier Blanchard, che bacchetta sì il governo di sinistra di Atene («deve essere credibile») ma ne ha soprattutto per i creditori e i falchi dell’austerity. «Un accordo sulla Grecia richiede scelte dure da tutte le parti in causa», scrive Blanchard in una nota. I i creditori Ue dovrebbero «riprogrammare i pagamenti sul debito a tassi d’interesse più bassi». In sostanza il Fmi apre a una ristrutturazione vera e propria del debito, almeno con un allungamento della scadenze.