Ieri sera era in corso una massiccia caccia all’uomo per rintracciare i responsabili dell’attentato, compiuto con un ordigno, che ha ucciso una israeliana di 17 anni originaria di Lod, vicino Tel Aviv, e ferito gravemente il padre e il fratello, nei pressi dell’insediamento coloniale ebraico di Dolev, nella Cisgiordania palestinese sotto occupazione militare. L’esercito israeliano ha inviato rinforzi di truppe, istituito altri posti di blocco e ha chiuso gli ingressi del villaggio di Betunia (Ramallah) dove ha effettuato rastrellamenti e si è scontrato con la popolazione. Il primo ministro Netanyahu ha annunciato il rafforzamento «delle comunità ebraiche (gli insediamenti coloniali in Cisgiordania, ndr)» e ha assicurato che «diffonderemo le nostre radici più in profondità e colpiremo i nostri nemici». Parole che non sono piaciute alla destra ultranazionalista che, con la campagna elettorale in corso (in Israele si voterà il 17 settembre), ha colto l’occasione per accusare il premier di «non saper difendere» le colonie. L’ex ministra Ayelet Shaked, leader della lista “Yamina” (sionista religiosa) – che potrebbe diventare il terzo gruppo parlamentare alla Knesset dopo i partiti “Likud” e “Kahol Lavan” – ha chiesto che Israele proceda all’annessione dell’intera Cisgiordania. Un altro ex ministro, Avigdor Liberman (destra estrema laica), ha denunciato le politiche a suo dire «troppo tolleranti» nei confronti dei palestinesi.