Trentadue morti nel cuore di Homs, città che dopo il 2011 divenne roccaforte delle opposizioni e nel maggio 2014 teatro della loro sconfitta, con il ritorno del governo.

Un doppio attacco kamikaze, rivendicato da Jabhat Fatah al-Sham, il qaedista ex al-Nusra, ha fatto una strage: prima di farsi saltare in aria gli attentatori hanno ingaggiato uno scontro a fuoco di quasi due ore con i militari siriani.

Tra le 32 vittime anche uno dei capi dell’intelligence di Damasco, Hassan Daabul, tra i più stretti consiglieri del presidente Assad.

Il rimbombo delle esplosioni è risuonato, irrimediabilmente, anche a Ginevra dove da giovedì si tiene un nuovo round negoziale sotto egida Onu tra opposizioni e governo: l’ambasciatore siriano alle Nazioni Unite e capo delegazione al-Jafaari ha accusato i qaedisti di voler far deragliare il processo di pace.

«[Gli attacchi] sono stati un messaggio dagli sponsor del terrorismo. Il messaggio è stato recapitato». Chiaro il riferimento ai finanziatori e sostenitori regionali dei gruppi islamisti attivi in Siria, Turchia e Arabia saudita in testa, in un periodo di implosione del vecchio fronte anti-Assad: i soggetti statuali (Ankara e Riyadh) hanno perso terreno, quelli non statuali si sono spaccati, con l’ex al-Nusra impegnato in una vera e propria campagna militare contro le milizie ex alleate, oggi presenti a Ginevra.

Diversa la lettura proposta dall’Esercito Libero Siriano, braccio armato dell’evaporata Coalizione Nazionale, che ha accusato Damasco di aver organizzato da solo l’attentato per influenzare il dialogo: «All’ultima conferenza a Ginevra – ha detto il portavoce dell’Els al-Reis – c’è stata un’esplosione nell’area governativa di Sayyda Zeinab». Nessuna prova, ovviamente, ma quel tanto che basta a mostrare la totale assenza di fiducia tra le parti.

Interviene anche l’inviato Onu de Mistura, i cui toni a questo tavolo sono sempre più pessimistici (o realistici): «Mi aspetto, sfortunatamente, simili disturbi. Ogni volta che ci sono negoziati, c’è qualcuno che tenta di farli collassare».

Di avvenuto collasso non si può ancora parlare, ma di certo non si fanno passi avanti. Dopo il terzo giorno di incontri (per la prima volta faccia a faccia) si è discusso molto poco. Sul tavolo per ora, fa sapere la delegazione governativa, c’è stato solo il formato delle sessioni, questioni tecniche dunque e non politiche.

Chi al tavolo siriano non è stato neppure invitato, nonostante la strenua ed efficace resistenza contro l’Isis, sono i kurdi di Rojava. Che, da parte loro, continuano ad avanzare su Raqqa a capo delle Forze Democratiche Siriane (Sdf).

Con il sostegno degli Stati uniti che non hanno cambiato cavallo dopo le elezioni presidenziali: nei giorni scorsi il capo del comando centrale Usa in Medio Oriente, Joseph Votel, ha fatto per la prima volta visita (in segreto) alle Sdf. Di certo un viaggio che avrà fatto venire più di un mal di pancia alla Turchia.