È finito con una condanna a cinque anni e dieci mesi di reclusione il processo di primo grado al direttore del quotidiano Cumhuriyet, Can Dündar, e del suo caporedattore dell’ufficio di Ankara, Erdem Gül. Erano stati rinviati a giudizio il 27 gennaio scorso dal tribunale di Istanbul con accuse che vanno dallo «spionaggio», alla «propaganda terroristica» per aver pubblicato un reportage, nel maggio 2015, su un passaggio di camion carichi di armi dalla Turchia a gruppi ribelli in Siria, ad opera dei servizi segreti turchi, il Mit. I camion erano stati bloccati al confine con la Siria dalla gendarmeria, il 19 gennaio del 2014.

Momenti di terrore si sono vissuti davanti al tribunale di Istanbul durante una pausa dell’udienza quando il direttore Can Dundar è sfuggito a un’aggressione armata mentre si trovava davanti al Palazzo di Giustizia. Un uomo sui 40 anni, poi identificato come Murat Sahin, si è avvicinato al giornalista e ha sparato almeno tre colpi di arma da fuoco.
Un reporter di un’emittente televisiva è stato ferito a una gamba. L’uomo è stato interrogato dalla polizia che indaga sul movente del tentato omicidio e su eventuali legami con organizzazioni terroristiche.

«Non conosco l’uomo che mi ha attaccato, ma conosco molto bene le persone che mi hanno indicato come bersaglio. È comprensibile che a un giornalista capiti una cosa del genere dopo che per mesi viene additato come un target da colpire. Spero che i responsabili di tutto questo imparino la lezione», ha commentato a caldo Can Dundar.

Dundar e Gül furono arrestati il 26 novembre del 2015, un procuratore di Istanbul stilò un atto d’accusa lungo 473 pagine, per cui il presidente Recep Tayyip Erdoan e il sottosegretario Hakan Fidan, capo del Mit, apparivano personalmente come denuncianti.

L’allora primo ministro Recep Tayyip Erdoan aveva affermato che i camion stavano consegnando aiuti umanitari alla minoranza turcomanna che risiede nel nord-ovest della Siria, al confine turco, impegnata con i ribelli, contro i filogovernativi di Assad. Invece le foto e i video dimostravano chiaramente che il carico di armi nascosti tra le scatole dei medicinali. Lo stesso governo turco ha poi dovuto ammettere che si trattava proprio di un carico di armi.

Fu proprio Erdogan (ora presidente) in persona a denunciare pubblicamente questa inchiesta di Dündar come una manipolazione Gülenista e cioè dei sostenitori di Fethullah Gülen, il filosofo islamico che vive in esilio volontario negli Stati Uniti, che era stato uno dei suoi più stretti alleati fino aver ordito un complotto per rovesciare il governo Akp e di aver creato per questo uno Stato parallelo infiltrando nel corso degli anni propri uomini dentro la magistratura e le forze di sicurezza. Erdoan disse che gli autori del servizio avrebbero pagato per questo, anche con l’ergastolo.

Dopo diversi mesi di galera la Corte costituzionale il 25 febbraio scorso ne ordinò la scarcerazione per violazione dei diritti costituzionali dei due giornalisti. Sono stati poi assolti dall’accusa di spionaggio e il tribunale si è dichiarato incompetente per l’accusa di sovversione dell’ordine democratico.

Nel frattempo la situazione dei diritti umani in Turchia è decisamente peggiorata.I media hanno subìto pressioni senza precedenti da parte del governo e la libera espressione, anche online, ne ha sofferto in modo significativo. Vari procedimenti penali, anche sulla base delle leggi su diffamazione e antiterrorismo, hanno colpito attivisti politici, giornalisti e altre persone che avevano criticato l’operato di funzionari pubblici o la politica del governo. Il governo ha esercitato enormi pressioni sugli organi d’informazione, spesso mettendo all’indice giornalisti critici che poi sono stati minacciati e aggrediti da assalitori spesso non identificati. Giornalisti sono stati licenziati dopo aver criticato il governo. Sono oltre 105 i procedimenti penali per vilipendio del presidente Erdogan, ai sensi dell’articolo 299 del codice penale.

Ieri l’attentatore quarantenne, che si è poi scoperto proveniente da Sivas, in Anatolia, quando ha cercato di sparare a Dundar, gli ha urlato: «Traditore della patria».

A fermare la sua mano omicida non è stata la polizia ma la moglie del giornalista, Dilek, e l’avvocato e deputato del partito di opposizione Chp, Muharram Erkek.

La sentenza di condanna a cinque anni per Dundar è stata definita dal suo legale un «colpo mortale contro la libertà di stampa» e non è coerente con i principi della Costituzione turca. Costituzione che per altro Erdogan ora vuole riformare.