A otto mesi dal doppio attentato contro un’auto della polizia vicino all’ambasciata francese e contro la sede della Guardia nazionale, ieri Tunisi è tornata nel mirino poco prima della preghiera del venerdì. Due kamikaze, a bordo di una moto, si sono fatti saltare in aria vicino alla sede dell’ambasciata statunitense. Un poliziotto è stato ucciso, altri quattro feriti insieme a un civile.

Immediato è scattato lo stato d’allerta: cecchini si sono posizionati sui tetti vicino all’edificio, mentre centinaia di agenti venivano dispiegati in strada. Gli accessi alla zona sono stati chiusi e la polizia ha compiuto una perquisizione in una casa del quartiere di Kram.

Testimoni hanno raccontato ai giornalisti di aver visto brandelli di corpi sparpagliati sull’asfalto. Al momento non ci sono rivendicazioni per l’attacco peggiore da mesi, realizzato con «una grande quantità di esplosivo», dice Sofien Selliti, portavoce del contro-terrorismo.

L’attentato arriva in un momento particolare, durante la visita di militari e ufficiali dell’esercito Usa alla fiera della difesa aerospaziale nel paese nordafricano, inaugurata a Djerba. Appena pochi giorni fa Washington aveva dato il via libera alla vendita di aerei da guerra At-6C Wolverine alla Tunisia, per un valore totale di 325,8 milioni di dollari.

Non solo. Pochi giorni fa l’emiro di al Qaeda nel Maghreb Islamico (Aqmi), Abdelmalek Droukdel, ha annunciato la morte di uno dei più noti e potenti jihadisti tunisini e nordafricani: Seifallah ben Hassine (nome di battaglia Abu Iyadh), fondatore di Ansar al Sharia, gruppo qaedista attivo in Tunisia, Libia e Siria.

Lo scorso giugno era stato l’Isis a rivendicare il doppio attentato che aveva provocato un morto e undici feriti. Proprio lo Stato islamico è stato in questi anni il gruppo islamista ad aver reclutato il numero maggiore di foreign fighters tunisini, migliaia di giovani arruolatisi nell’organizzazione del «califfo» Abu Bakr al-Baghdadi.

Un numero imponente spiegato da molti analisti con una radicalizzazione figlia della miseria, della disoccupazione giovanile e dell’assenza pressoché totale di opportunità soprattutto nelle zone più povere del paese, le regioni rurali distanti dallo sviluppo della costa.