Il golpe del 2013 ha trasformato l’Egitto nella terra delle cospirazioni. Dalla scalata al ministero della Giustizia agli attentati al procuratore Generale, chiunque voglia seguire, nel suo settore, le orme di al-Sisi può farlo. Il giornalista del blog indipendente Mada Masr, Hossam Bahgat, lo ha spiegato fornendo particolari inquietanti.

E per questo è stato arrestato la scorsa domenica, proprio quando il potere di al-Sisi sembra vacillare come mai prima d’ora. Nel giorno in cui è apparso chiaro a tutti l’imbarazzo di Cameron che ha incontrato il presidente egiziano a Londra e la quasi certezza: la mattina di sabato 31 ottobre nei cieli del Sinai una bomba dello Stato islamico ha ucciso 224 passeggeri dell’Airbus 321 della russa Metrojet. Lo schianto del volo russo ha messo fine in un colpo solo all’asse Cairo-Mosca, al sogno della «salvezza nazionale» del generale, che calpesta democrazia, islamismo politico e rivolte di piazza, all’idea di al-Sisi come artefice di stabilità, così decantata da Renzi e Hollande.

Bahgat ha intervistato i familiari dei 26 militari accusati del tentativo di golpe, quattro di loro sarebbero stati condannati all’ergastolo, durante il processo, gli altri 22 hanno ricevuto la stessa condanna in absentia. Tra di loro c’è il maggiore, Momen Mohamed Abdel Aty, fratello del generale Ragai Saeed, che è stato lungamente responsabile della sicurezza nel quartiere di Mohandessin.

Secondo alcune testimonianze, il militare farebbe parte della corrente all’interno dell’esercito, vicina ai Fratelli musulmani. A preparare il golpe ci sarebbero stati anche i due fisici ed ex parlamentari di Libertà e giustizia, il partito della Fratellanza egiziana, Abdel Aziz al-Gazzar e Mohamed al-Morsi Ramadan, entrambi latitanti. Insieme a loro sarebbe coinvolto il capitano, Ahmed Abdel Ghany Gabr, presente negli attacchi alla Sicurezza di Stato (Amn el-Dawla) dell’aprile 2011. I nodi vengono al pettine. Ed è chiaro come il regime militare di al-Sisi, dove il dissenso è completamente represso e più di dieci persone insieme per strada possono essere arrestate per violazione della legge anti-proteste, più che da un nuovo movimento di piazza potrebbe essere attaccato dall’interno.

L’attentato di Sharm fa vacillare anche la zona grigia in cui servizi e jihadisti operano a orologeria per giustificare la repressione. Ieri è stato assassinato a nord-est del Cairo, Ashraf Ali Hassanein el-Gharabli, jihadista, esponente del gruppo Beit al-Meqdisi, affiliato dello Stato islamico nel Sinai, ritenuto responsabile dell’attentato del luglio scorso nei pressi del Consolato italiano, parzialmente distrutto dalla bomba. Per i media egiziani, Gharabli è accusato anche del tentato agguato contro l’ex ministro dell’Interno, Mohamed Ibrahim. Non è la prima volta che il governo egiziano annuncia l’arresto dei responsabili dell’attacco dello scorso luglio.

Il caso Metrojet ha anche delle implicazioni internazionali. Ieri la Gran Bretagna ha ammesso di aver condiviso informazioni di intelligence con Mosca in riferimento allo schianto. I servizi russi avevano accusato Londra di non aver fornito alcun elemento che desse credito alla pista dell’esplosione a bordo, paventata dalla Cia e confermata dalle immagini delle lamiere e dall’audio delle scatole nere. Sono circa 25 mila i turisti russi già rientrati a Mosca. Ne restano oltre 50mila da rimpatriare con voli speciali.

Secondo gli investigatori, ad aver ideato l’attentato, subito rivendicato da Is con un video, apparso sul sito di informazione degli Emirati al-Makan, sarebbe stato Abu Osama al-Masri, uno dei leader dei jihadisti del Sinai. L’uomo sarebbe stato anche a guida del commando che ha rapito e decapitato l’ostaggio croato, Tomislav Salopek.

La nazionalità egiziana del jihadista confermerebbe ulteriormente la pista interna che spiega le dinamiche dell’attentato in un contesto di escalation dell’azione di Is nel Sinai che ha anche lanciato missili nel Mediterraneo. La regione è terra di nessuno e vige un rigido coprifuoco che di certo non impedisce sparatorie e attentati continui con centinaia di morti.

Al-Sisi ha fallito, il militarismo esasperato ha fatto a pezzi le rivendicazioni di giustizia sociale e il terrorismo di stato ha ora anche distrutto il turismo e le relazioni con Mosca.