Può ritenersi soddisfatto chi da mesi lavora contro la riconciliazione tra Fatah e Hamas. La dozzina di attentati intimidatori compiuti ieri poco dopo l’alba contro automobili, abitazioni e proprietà di dirigenti del partito guidato dal presidente Abu Mazen e contro il palco allestito per la commemorazione di Yasser Arafat, ha avuto l’effetto sperato da chi ha pianificato l’attacco. I vertici di Fatah e dei servizi di sicurezza dell’Anp puntano l’indice contro Hamas. Sostengono che il movimento islamico, che controlla Gaza dal 2007, non poteva essere all’oscuro di un attacco ampio, preparato con cura da mani esperte. La tesi è fondata, tuttavia Fatah ne fa un uso strumentale, pur sapendo che i leader politici del movimento islamico non possono aver ordinato attentati che politicamente mettono sotto pressione proprio Hamas.

 

E se la riconciliazione tra le due principali formazioni palestinesi rischia di andare in frantumi, allo stesso tempo è in pericolo anche la già incerta ricostruzione di Gaza uscita in macerie dall’offensiva israeliana “Margine Protettivo”. Potrebbero infatti saltare le intese trovate, con grande fatica, per il controllo dell’utilizzo e della destinazione dei materiali per l’edilizia voluto (o meglio imposto) dai donatori internazionali (e da Israele) che hanno promesso 5,4 miliardi di dollari per Gaza.

 

Chi ha concepito e realizzato gli attentati di ieri, ha voluto colpire in un momento delicato a Gerusalemme Est e in Cisgiordania e nell’imminenza delle commemorazioni per il decimo anniversario (11 novembre) della morte di Arafat – anche nella Striscia, per la prima volta del 2007 –, ed inoltre alla vigilia del ritorno a Gaza del premier Rami Hamdallah. Dopo gli attentati il primo ministro ha annullato la visita prevista assieme al capo della diplomazia europea Federica Mogherini (che invece andrà ugualmente nella Striscia). La responsabile per la politica estera dell’Unione ieri a Gerusalemme ha ribadito l’opposizione europea alla costruzione di nuove colonie israeliane, ammonendo «se non verranno compiuti passi in avanti sul fronte politico, vi è un serio rischio di precipitare di nuovo nella violenza». Poco dopo il premier Netanyahu ha replicato che «Gerusalemme è la capitale di Israele, non una semplice colonia …. respingo con forza la falsa denuncia che gli insediamenti (colonici) siano alla base del conflitto». Il premier israeliano ha inoltre definito «irresponsabile» un eventuale riconoscimento da parte dell’Ue dello Stato di Palestina.

 

Gli attentati di ieri mattina hanno preso di mira, ad evidente scopo di avvertimenti, figure di spicco di Fatah, come Abdullah el-Efranji, Faisal Abu Shahla, Abu Juda al-Nahhal, Fayez Abu Eita e Jamal Obeid. L’obiettivo, sostiene Fatah, sarebbe quello di impedire le commemorazioni a Gaza in memoria di Arafat, icona per decenni del movimento di liberazione palestinese morto in circostanze misteriose (probabilmente avvelenato). Ieri per tutto il giorno i dirigenti del movimento guidato da Abu Mazen hanno rivolto accuse pesanti contro Hamas, non in grado, a loro dire, di garantire la sicurezza a Gaza. Azzam al Ahmad, che ha negoziato la riconciliazione con gli islamisti, ha spiegato che gli attacchi contro Fatah sono stati realizzati da uomini degli apparati di sicurezza di Hamas. Accuse smentite con forza da uno dei leader del movimento islamico, Musa Abu Marzuq, che, dopo aver annunciato l’apertura di una indagine accurata sull’accaduto, ha invitato Rami Hamdallah a ripensarci e a confermare la sua visita a Gaza, la seconda di un premier palestinese dal 2007.

 

Sono numerose le responsabilità possibili alla luce della complessità della situazione interna di Gaza e del quadro palestinese più in generale. Sono stati trovati volantini firmati dallo ‘Stato Islamico’ (Isis-Daesh). Gli anonimi autori di questi fogli ordinano agli esponenti di Fatah di non uscire di casa fino al 15 novembre, ossia fino all’indomani dell’anniversario di Arafat. «Altrimenti – avvertono – la vostra vita è in pericolo». A Gaza però pochi credono a questa rivendicazione. Nella Striscia operano piccoli gruppi salafiti armati che si proclamano affiliati all’organizzazione di Abu Bakr al Baghdadi. «Ma non hanno un legame organico con Daesh – ci spiega il giornalista Aziz Kahlout -, si limitano ad un’adesione teorica al Califfato che al Baghdadi ha proclamato in Siria ed Iraq». Se fosse stato davvero l’Isis a colpire, fa notare Kahlout, non avrebbe compiuto solo attentati intimidatori ma provato ad uccidere i dirigenti di Fatah.

 

Per questo motivo la pista più seguita dalla gente di Gaza è quella che porta a quelle parti che hanno un interesse concreto a spezzare l’unità nazionale palestinese e a mettere fine alla riconciliazione tra Fatah e Hamas. E’ noto, fa notare qualcuno, che l’ala militare di Hamas o una parte di essa, in contrasto con la direzione politica, guarda con sospetto ad una alleanza con i rivali di Fatah e più volte ha ribadito che non intende cedere il controllo di sicurezza di Gaza. Tuttavia anche il governo Netanyahu ha interesse a rompere il patto tra Fatah e Hamas – aggiungono altri palestinesi – e questi attentati simultanei potrebbero essere opera di collaborazionisti di Israele, interessato anche a spostare l’attenzione dei palestinesi da Gerusalemme Est, dove da settimane prosegue un’Intifada a bassa intensità. Anche ieri ci sono stati scontri tra palestinesi e polizia, in particolare al campo profughi di Shuaffat.