«Sabotaggio». Non ci gira attorno la senatrice del Pd Isabella De Monte, giro stretto renziano, una per intenderci che non firmerà mai il documento di quei venti colleghi del gruppo democratico che chiedono di mettere da parte la legge elettorale. Per dedicarsi, in commissione affari costituzionali e poi in aula, prima alla riforma del senato. I renziani vedono in queste mosse della minoranza del partito – lettiani e bersaniani, che tanto minoranza tra i senatori non sono – una chiara manovra per fermare l’ascesa di Renzi. Colpire la sua immagine di velocista. E soprattutto metterlo in difficoltà con Berlusconi, che insiste per un’approvazione rapida dell’Italicum. Il Cavaliere non vuole rimandare troppo le urne.

«A chi conviene sabotare le riforme?», si chiede la senatrice De Monte; e aggiunge alla domanda retorica un richiamo al centralismo democratico: «La regola dovrebbe essere quella di discutere e contarsi dentro al partito, per poi portare in senato la decisione assunta dalla maggioranza». Ma il contro argomento usato dalla minoranza è assai più logico. Dalla legge elettorale, alla camera, è stato cancellato tutto l’articolo 2, quello che si occupava del senato. Dunque si tratta di una legge che per essere approvata e soprattutto utilizzata ha bisogno che nel frattempo si sia provveduto a cancellare l’elettività del senato.

Prima la riforma costituzionale, allora. Che, è noto, ha tempi lunghi di discussione e approvazione – maggioranza dei due terzi per evitare il referendum e quattro passaggi nelle nelle aule parlamentari, i secondi due a distanza di tre mesi – e al momento non può neanche partire. Perché Renzi ha promesso 15 giorni di riflessione a sindaci e governatori, i protagonisti della nuova Assemblea delle autonomie. Anzi un testo ancora non c’è, ragioniamo sulla bozza.

Anna Finocchiaro, presidente della prima commissione al senato, è nella posizione chiave per decidere i tempi. È da sempre assai vicina a Massimo D’Alema, e D’Alema sta dando segnali di voler quanto meno discutere un riavvicinamento al presidente del Consiglio. Ma intanto Finocchiaro insiste che bisognerà dare la precedenza alla riforma costituzionale. E come lei la pensa Cuperlo, che in più ricorda come l’Italicum abbia bisogno di serie modifiche – «non è una buona legge». Gli argomenti sono gli stessi messi da parte alla camera con il voto segreto: quote di genere per le teste di lista e tutte le altre candidature, primarie obbligatorie per legge. Addirittura il ritorno delle preferenze, come insiste Alfano che sulla materia ha le stesse posizioni della minoranza Pd.

E se Cuperlo non si allontana dalla linea della «ragionevolezza» che ha portato a fare un passo indietro a Montecitorio – «siamo tutti consapevoli che il fallimento di questo governo non sarebbe il fallimento di Renzi ma del Pd e forse del paese» -, assai più agguerriti sono i pochi lettiani rimasti, come si è già visto nel passaggio alla camera. Il senatore Russo annuncia che il suo documento, quello che per i renziani è un «sabotaggio», sta raccogliendo altre firme: «presto sarà la maggioranza del gruppo Pd al senato». Russo mette l’Italicum nella coda non solo della riforma del senato, ma anche del Titolo V. Il risultato è una previsione che per Renzi suona come una maledizione: «Non credo che la legge elettorale possa essere approvata definitivamente prima delle europee». Possibile. Ma per il presidente del Consiglio vorrebbe dire mancare una promessa, proprio alla vigilia della sua prima sfida nelle urne.