La notizia che sono stati arrestati gli assassini dell’ambasciatore Luca Attanasio, del carabiniere Vittorio Iacovacci, e dell’autista congolese Mustapha Milambo, uccisi in Congo il 22 febbraio dell’anno scorso, è il classico dono avvelenato, come per Giulio Regeni, Ilaria Alpi e tanti altri.

Si offrono in pasto all’opinione pubblica ed ai governi che reclamano giustizia, dei poveracci, magari ricattati o torturati, o nel migliore dei casi esecutori materiali degli omicidi. Mai i mandanti.

Nel caso dell’ambasciatore Attanasio, i mass media italiani ne hanno parlato di nuovo nelle ultime settimane, dopo la testimonianza del congolese Baraka Dabu Jackson, che ha assistito al pluriomicidio, evidenziando il fatto che non si trattava di un gruppo di banditi o di una rapina andata a male, ma di un piano ben organizzato.

È una mossa del governo congolese per tentare di far deragliare le indagini che la magistratura italiana sta portando avanti con grandi difficoltà. Innanzitutto, per la mancata collaborazione dei dirigenti del Pam (Programma Alimentare Mondiale dell’Onu), che meriterebbe una seria indagine per capire come vengono gestiti i fondi a cui anche l’Italia contribuisce in maniera rilevante.

Mansour Rwagaza, dirigente del Pam per la sicurezza dell’area, aveva espunto dall’elenco dei partecipanti alla missione proprio l’ambasciatore Attanasio e la sua scorta, il carabiniere Iacovacci. Il motivo? Per aggirare, sostiene Rwagaza, le pastoie burocratiche e snellire le pratiche della missione.

Peccato che si rifiuti di essere interrogato dai nostri magistrati e si avvalga di una fantasiosa immunità diplomatica, che esiste solo per i funzionari stranieri registrati in Italia.

Per tutti gli elementi raccolti finora dalla magistratura italiana la storiella della rapina finita male perché i due italiani volevano fuggire, va rimandata al mittente, cioè al governo congolese e ai dirigenti del Pam che non può continuare a nascondersi. Il governo italiano avrebbe i mezzi per farsi sentire dalle massime autorità del Pam, ricordandogli che siamo tra i suoi primi donatori.

Il padre di Luca Attanasio, l’ingegnere Salvatore Attanasio, ha definito la notizia «una bufala a cui nessuno dei familiari ha creduto per un attimo».

La lotta per conoscere la verità deve andare avanti perché non si tratta solo di arrivare ai mandanti e consegnarli alla giustizia, ma di scoperchiare questo carrozzone che dovrebbe portare gli aiuti alimentari alle popolazioni più impoverite dal nostro modello di sviluppo, e che è da troppo tempo infettato da un virus ben più pericoloso del Covid: il denaro sporco.

In particolare, il nostro Ministro degli Esteri, on. Di Maio, che ha inviato una bella e lunga lettera il 22 luglio quando intitolavamo un ponte a Reggio Calabria in memoria dell’ambasciatore e della sua scorta, dovrebbe, a nostro modesto avviso, usare ogni tipo di pressione sul Pam per far emergere la verità.