Dal Congo arriva quella che sembrerebbe la prima svolta nelle indagini sull’attentato che quasi un anno fa costò la vita all’ambasciatore Luca Attanasio, al carabiniere Vittorio Iacovacci e all’autista Mustapha Milambo.

Sei uomini ammanettati, quasi tutti scalzi e seduti per terra sono stati presentati dal generale Aba Van Ang, capo della polizia della provincia del Kivu del Nord, alla stampa locale e fra questi ci sarebbero anche i presunti assassini dei nostri connazionali e dell’autista del World Food Programme. Dal comandante della polizia e dal governatore militare della provincia il Tenente Generale Ndima Kogba Constant sono stati descritti come criminali abituali facenti parte di tre bande differenti che delinquono da tempo nella zona. L’autore materiale degli omicidi sarebbe però il capo di un gruppo criminale chiamato “Aspirant”, che resta ancora a piede libero, ma la polizia locale si è detta certa di catturarlo a breve perché a conoscenza dei suoi movimenti.

SECONDO ALCUNI GIORNALISTI presenti alla conferenza solo due degli arrestati sarebbero coinvolti nell’attentato ai nostri connazionali, mentre gli altri sono accusati dell’omicidio di un uomo d’affari congolese e di attacchi ad altri operatori umanitari. Questi fanno parte di un gruppo ribelle chiamato Balume Bakulu noto per i numerosi rapimenti nella zona e, sempre secondo le autorità militari del Kivu, avrebbero voluto chiedere un riscatto di un milione di dollari per il diplomatico italiano.

Secondo una prima ricostruzione della polizia il capo della banda “Aspirant” avrebbe sparato all’ambasciatore Luca Attanasio e questo avrebbe fatto crollare il piano che prevedeva il sequestro. Ai media locali non sono state presentate prove e nemmeno modalità e tempistiche dell’arresto. Per il momento ci sono solo le dichiarazione del comandante della polizia che non ha spiegato come questi arrestati siano stati individuati e se ci siano delle confessioni o dei collegamenti chiari con l’omicidio dell’ambasciatore italiano. Se verranno riconosciuti colpevoli, gli arrestati rischiano la pena capitale.

L’IPOTESI DEL RAPIMENTO era stata quella caldeggiata dagli inquirenti congolesi fin dall’inizio, ma continua a non sembrare quella più probabile. Non perché siano rari i rapimenti in Kivu, che anzi restano all’ordine del giorno, ma perché manca completamente una rete organizzativa che possa gestire una trattativa lunga e complicata come quelle per il rilascio di un ambasciatore. Il presidente della Repubblica democratica del Congo Felix Tshisekedi nel maggio scorso aveva già parlato di arresti, ma erano sembrate solo frasi di circostanza, mentre oggi il nuovo governatore del Kivu del Nord ha presentato l’operazione con grande risonanza. Cosa strana il silenzio del governo di Kinshasa, che non ha subito rivendicato l’operazione come un successo, ma sembra molto dubbiosa su come muoversi.

NELLE SCORSE SETTIMANE il Ministero degli Esteri italiano aveva fatto pressioni sul Congo perché il caso non cadesse nell’oblio e dopo poco la polizia locale ha iniziato una serie di rastrellamenti di criminali comuni che agiscono nella zona di Goma e questi arresti sembrano davvero arrivati al momento più opportuno. Manca ancora il capo della banda “Aspirant”, presunto autore materiale degli omicidi, che forse potrebbe aiutare a capire se dietro questo attentato ci sia qualcun altro. Anche il presidente congolese aveva parlato di un mandante che avrebbe orchestrato questo gravissimo atto criminale.

DAL KIVU ERANO RIMBALZATE voci di gravi difficoltà nelle indagini perché mancavano completamente i fondi per continuare a indagare, in una regione ad altissimo tasso di violenza e omicidi.
La magistratura italiana a fine mese dovrebbe emettere i rinvii a giudizio delle due inchieste in atto, la prima per terrorismo e omicidio, la seconda per omesse cautele nei confronti del responsabile della sicurezza del World Food Programme che organizzato il viaggio dei nostri connazionali.

SINGOLARE QUESTO COLPO di scena della polizia congolese apparsa spesso inerte e che sembrava sicura di aver trovato i colpevoli nel gruppo ribelle Hutu delle Forze di liberazione del Ruanda, poi risultate completamente estranee. Mancano troppi pezzi al puzzle per poter definire chiusa questa tragica storia che anche oggi sembra ritrovarsi in una strada che porta lontano dalla verità.