Il Medio oriente ribolle in attesa dell’attacco americano alla Siria che potrebbe scattare già nelle prossime ore. L’Iraq ha messo in allerta le sue forze di sicurezza, il Libano teme per i suoi fragili equilibri interni, Israele ostenta tranquillità ma intanto richiamato alcune migliaia di riservisti. Da parte sua Damasco ripete «Non saremo bersagli facili», facendo intendere di possedere le armi per replicare all’attacco degli Stati Uniti. Il viceministro degli esteri Faisal Maqdad inoltre avverte che presto i “terroristi”, i ribelli jihadisti, colpiranno l’Europa: «Usa, Gran Bretagna a Francia hanno aiutato i terroristi che usano armi chimiche in Siria, e gli stessi gruppi presto potrebbero colpire l’Europa».  Parole che ieri sono state “equivocate” da non pochi media occidentali, anche italiani, che le hanno spiegate come minacce rivolte da Bashar Assad all’Europa.

Alza la voce l’Iran, stretto alleato di Damasco. Senza sbilanciarsi fino a minacciare una reazione militare, la Guida suprema, l’ayatollah Khamenei, ha ammonito che un attacco alla Siria innescherebbe un «disastro» in Medio Oriente. «Appiccare questo fuoco – ha ammonito – sarà come una scintilla in un grande negozio di polvere da sparo, con non chiari e imprecisati risultati e conseguenze». Gli americani, ha aggiunto la Guida suprema iraniana, «avranno perdite» come «in Iraq e Afghanistan». Da parte sua il ministro degli esteri Mohammad Javad Zarif ha ricordato che Teheran «non tollera che un gruppo di paesi si diano da soli il permesso di osare una campagna nella regione» e  sostenuto che gli Usa stanno per cadere in una «trappola piazzata da gruppi di pressione sionisti (israeliani)».

La crisi siriana potrebbe ulteriormente aggravare la tensione tra Tehran e Tel Aviv. Si attende la reazione del premier israeliano Netanyahu alle notizie giunte da Vienna dove l’Aiea ha fatto sapere che l’Iran ha ampliato in modo significativo la capacità di arricchimento dell’uranio nell’impianto di Natanz, installando 1.008 centrifughe, quelle più moderne, di seconda generazione. Il rischio è che il clima creato dall’attacco alla Siria finisca per aprire al strada al raid aereo israeliano contro le centrali atomiche iraniane di cui si parla da anni. Per ora Netanyahu ripete che lo Stato di Israele non intende lasciarsi coinvolgere ma è pronto a rispondere al qualsiasi minaccia. «Non siamo parte della guerra civile in Siria – ha detto –  ma se qualcuno tenterà di colpirci, risponderemo con la forza».  Gli esperti militari esclusono che la Siria faccia sul serio con le sue minacce di ritorsione. Damasco, spiegano, lancia avvertimenti, accusa Netanyahu di complottare per far cadere Bashar Assad, ma non desidera ritrovarsi contro, sul campo di battaglia, un avversario tanto potente. Il livello di allerta in Israele è minimo anche se migliaia di israeliani negli ultimi giorni hanno ritirato la maschera antigas ai centri di distribuzione.

La rappresaglia siriana contro Israele è una opzione da non scartare. Anche perchè a Damasco non sfuggono le notizie che vogliono i servizi segreti israeliani impegnati a passare agli americani le “prove” delle responsabilità dell’Esercito agli ordini di Bashar Assad nell’attacco chimico che sarebbe avvenuto il 21 agosto nella zona di Ghouta. Sono perciò da prendere più sul serio gli avvertimenti lanciati da una autorevole fonte delle forze armate siriane attraverso l’agenzia di stampa iraniana Fars. «Israele non solo sarà l’obiettivo degli attacchi provenienti dalla Siria e dai suoi alleati ma anche di estremisti che troveranno terreno fertile per le loro ambizioni», ha previsto la fonte. Il giornale di Beirut The Daily Star da parte sua prevede che, di fronte a un attacco volto a rovesciare il regime di Damasco, il movimento sciita libanese Hezbollah non resterà a guardare ma entrerà in azione bersagliando di razzi il territorio israeliano. L’ipotesi è poco credibile. E’ arduo credere che, in questa fase cruciale, Hezbollah si impegni apra nuovo fronte di guerra con un avversario tanto potente mentre migliaia dei suoi uomini migliori sono impegnati a combattere in Siria a sostegno delle truppe governative.