Alle 14.40 di ieri un violento boato ha scosso la metropolitana di San Pietroburgo. Nel tunnel che collega le fermate del Tecnologichesky Institut e quella di Ploshchad Sennaya è esplosa una bomba, nascosta in una valigia 24 ore lasciata nel terzo vagone, il cui bilancio provvisorio è di 10 morti e più di 40 feriti. Successivamente un secondo ordigno è stato trovato ancora inesploso in un altra stazione, Ploshchad Vosstanya. Secondo le prime indiscrezioni la bomba esplosa, di fattura artigianale, conteneva circa 300 grammi di tritolo mentre quella inesplosa sarebbe stata 3 o 5 volte più potente e avrebbe potuto rendere il bilancio della giornata assai più pesante.

La portavoce del Comitato investigativo che si sta occupando delle indagini, Svetlana Petrenko, ha affermato che l’attentato ha avuto un numero limitato di vittime perché «il conducente ha preso la decisione giusta di non fermare il treno dopo l’esplosione e di proseguire fino alla stazione successiva, dove è stato possibile evacuare il vagone e assistere i feriti». Secondo alcune agenzie russe le telecamere a circuito chiuso sarebbero riuscite a filmare uno degli attentatori, i ricercati al momento sembra siano due, mentre il giornale on-line Fontanka ha pubblicato due foto scattate nella metropolitana di un uomo, entrato nella stazione metro di Sennaia 20 minuti prima dell’esplosione dell’ordigno, dai tratti islamici che potrebbe essere l’autore dell’attacco. L’attentato, il più sanguinoso mai subito da San Pietroburgo, la città di Vladimir Putin e del premier Dmitry Medvedev, non può che suonare come una sfida diretta al governo russo e al suo presidente che ieri si trovava in città per i delicati colloqui con il presidente bielorusso Aleksadr Lukashenko dopo il mancato rinnovo dei contratti di fornitura di gas e petrolio.   

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«I motivi al momento non sono chiari, non escludiamo nessuna pista: né quella criminale, né quella terroristica» ha detto ieri Putin molto cauto. «È stato un attentato terroristico», ha affermato invece Medevev citato dalla Tass.

La città ha reagito con dolore e compostezza. Dopo la chiusura di tutte le linee della metropolitana, mezzo di trasporto fondamentale in una grande città così estesa, i sanpietroburghesi hanno potuto usufruire gratuitamente per gli spostamenti non solo dei servizi pubblici di superficie ma anche dei minibus privati, molto popolari in tutte le città della Russia. In serata alcune linee della metropolitana sono tornate a funzionare comunque regolarmente.

In un clima di tristezza ma non di paura la vita di «Piter», come chiamano vezzeggiativamente la loro città i suoi cittadini, ha continuato a svolgersi regolarmente, mentre molte persone si sono recate sul luogo dell’attentato per deporre mazzi di fiori. Il Comune di San Pietroburgo ha stanziato immediatamente 23 milioni di rubli per aiutare le famiglie delle vittime.

Nei prossimi giorni, mentre si cercherà di chiarire la dinamica dell’attentato, riprenderà quota il dibattito politico. Putin sulle questioni di ordine pubblico e sul nodo ceceno ha sempre usato il pugno di ferro, un approccio che è stato apprezzato dalla maggioranza dell’opinione pubblica russa. Tuttavia l’opposizione, sia parlamentare che quella liberal di Navalny, chiede ora che l’attentato terroristico non sia il viatico per una nuova, più forte stretta autoritaria e repressiva nei confronti sia dei movimenti sociali sia dei migranti musulmani. E ricordano che malgrado tutti gli annunci trionfalistici degli scorsi anni, la questione cecena resta ancora senza una soluzione definitiva.