Mentre è appena iniziato il settimo round negoziale a Doha tra americani e talebani, la guerriglia in turbante si macchia dell’ennesima strage di civili a Kabul. Ieri mattina un’autobomba è scoppiata davanti a un centro logistico della Difesa afgana nell’area di Pul-e-Mahmood Khan, non lontana dalla cosiddetta «zone verde» della capitale. Le immagini mostrano un’enorme esplosione con una scia di fumo che non lascia dubbi sulla portata dell’attentato. Appena dopo lo scoppio, cinque uomini armati sono entrati nell’edificio a fianco ingaggiando una sparatoria con le forze di sicurezza che dopo circa sette ore ne hanno avuto ragione uccidendoli tutti.

Il bilancio è pesantissimo e probabilmente in crescita visto l’alto numero di feriti – oltre un centinaio – tra cui una cinquantina di bambini. Secondo Al Jazeera il ministero dell’Interno avrebbe confermato in serata almeno 16 vittime, 200 persone sarebbero invece state messe in salvo dopo l’esplosione. I talebani hanno immediatamente rivendicato ammettendo di aver colpito anche civili, specificando che l’obiettivo era militare. Nel pomeriggio a Kabul si è scatenata la rituale polemica sull’incapacità di prevenire questo genere di attentati. Se dunque i talebani volevano in realtà colpire il governo e innescare polemiche interne, la loro bomba – evidentemente studiata anche per far pressione sui negoziatori americani di Doha – ha raggiunto il risultato. Benché ormai si negozi più o meno apertamente da oltre un anno e da alcuni mesi americani e talebani si siano incontrati più volte, concordando su qualche punto, la guerra in Afghanistan non si è fermata e la speranza di una tregua – chiesta a gran voce dalla società civile e dal Movimento dei marciatori di pace – resta un’illusione su cui si sperava il settimo round negoziale avrebbe battuto un colpo. Gli attentati dinamitardi si sono susseguiti negli ultimi mesi con ritmo incalzante senza risparmiare i civili. Il 31 di maggio un’esplosione a Kabul ha ucciso quattro persone; il 2 giugno, altre quattro bombe nella capitale. Il 3 giugno, un’esplosione colpisce un autobus di impiegati governativi uccidendone cinque.

E se la guerra colpisce la città, specie quando si vuole una cassa di risonanza internazionale, il conflitto continua nelle campagne e nei piccoli centri sebbene abbia causato meno vittime tra i civili nei primi sei mesi di quest’anno rispetto allo stesso periodo dell’anno scorso: secondo The Civilian Protection Advocacy Group 1.981 civili sono stati uccisi e feriti tra gennaio e giugno 2019 mentre il numero era 2.639 nello stesso periodo l’anno scorso. Secondo il rapporto, le vittime si sono notevolmente ridotte a giugno, con 63 morti e 134 feriti registrati nel mese. Il declino viene attribuito al decrescere del numero di attacchi suicidi.
La guerriglia ora privilegia le bombe.