Si conclude con la morte di otto talebani e quella di due civili l’ennesimo attacco nel cuore di Kabul dove la guerriglia ha scelto ieri mattina come obiettivo il parlamento, luogo simbolo del nuovo Paese che non piace ai fondamentalisti in turbante. I feriti sono una trentina: ci sono donne e bambini colpiti più o meno gravemente e tra questi ce ne sono in fin di vita.

Quasi tutti sono stati ricoverati o curati all’ospedale Esteqlal, il secondo nosocomio statale della città che si trova a pochi passi dal parlamento, su viale Darul Aman, dove verso le 10,30 un’auto con un kamikaze a bordo è esplosa forzando l’ingresso mentre stava per iniziare l’assemblea della Camera bassa (Wolesi Jirga) nella quale avrebbe ufficialmente preso servizio il nuovo ministro della Difesa Masoom Stanikzai, da poco nominato dopo un lungo tira e molla.

L’attacco è ben preparato e coordinato: di mezzo c’è anche la solita casa in costruzione – visione rituale in una città dove l’edilizia è esplosa – in cui i cecchini entrano per tenere sotto tiro il parlamento. Ma nel parlamento non riescono a entrare: la battaglia si ferma fuori e dura almeno un’ora buona. Il ministro non era ancora arrivato e i parlamentari sono usciti tutti illesi. A far le spese dell’attentato solo civili e auto parcheggiate che bruciano come torce.

Mediaticamente l’azione fa colpo ma militarmente è un fallimento per i guerriglieri. La paura invece resta tanta in una città dove da aprile gli attentati si susseguono e che mostra l’aspetto più evidente di una guerra infinita che continua a uccidere (da segnalare anche il rapimento di una cittadina olandese).

A giudicare dalla rapidissima condanna unanime e dagli attestati di solidarietà – dal Pakistan all’India passando per le Nazioni unite – si potrebbe pensare che l’attacco di ieri abbia segnato un’escalation nella cosiddetta offensiva di primavera. Ma non è così: da due mesi ormai si combatte in gran parte del Paese e i talebani stringono nella morsa Kunduz, città nel Nord per la quale l’esercito prepara l’offensiva. Se i talebani riescono a far parlare di sé, anche le vittorie del governo – sempre di difficile valutazione – vengono rese note ogni giorno con bollettini eclatanti: proprio ieri l’esercito e il ministero dell’Interno avevano reso noto che nelle ultime 24 ore erano stati uccisi 85 “insorgenti”. Messaggi quotidiani. L’esercito dice la sua e i talebani ribattono dal loro sito che, oltre ai documenti di teoria, politica e dottrina, snocciola – come in una macabra agendina – azioni da capitalizzare e uccisioni di “burattini”.

Dietro a tutto ciò, questo almeno il mantra che tutti ripetono, c’è il tentativo di alzare lo scontro per arrivare più forti a un tavolo negoziale che, in qualche modo, si sta apparecchiando. Discorso che vale sia per la guerriglia sia per il governo di Ashraf Ghani, governo bifronte dove il presidente è a capo di un esecutivo condiviso con Abdullah Abdullah, l’eterno secondo alle elezioni che però ha preteso e ottenuto un ruolo da premier.

Il governo è in crisi di consensi e questo non è un mistero. Ma i talebani non se la passano meglio: le defezioni ingrossano le fila di un nascente movimento pro-Is, le divisioni interne restano tante e il Pakistan, per la prima volta, sembra fare sul serio. Islamabad avrebbe molto ammorbidito il suo appoggio alla guerriglia afgana e chiesto in cambio a Kabul una mano contro i talebani pachistani (Ttp) che spesso trovano rifugio in Afghanistan. In questo quadro confuso ci sono stati incontri nel Golfo e in Europa col governo. Piccoli passi però che, anziché fermarla, per adesso alimentano la guerra.