I soldati stranieri fanno le valigie, il governo è debole, i Talebani sono forti. È il messaggio ribadito ieri, qui a Kabul, dai «turbanti neri», con due attacchi distinti su obiettivi stranieri. Il primo alle 10.30 del mattino, quando un’autobomba si è scagliata contro un mezzo blindato dell’ambasciata inglese, nella parte est della città, quella dei compound internazionali. Almeno 32 i feriti, 6 le vittime. Tra queste, due lavoravano per l’ambasciata: un contractor inglese che operava nella sicurezza e un afghano. In serata è stato colpito il quartiere diplomatico di Wazir Akbar Khan. Ci sono state 4 esplosioni e uno scambio prolungato di colpi con le forze di sicurezza afghane. Secondo la tv afghana Tolo, obiettivo era la Ong International Relief & Development. Mentre scriviamo non è chiaro se ci siano vittime.

Quel che è certo è con gli attacchi degli ultimi giorni i Talebani mandano un messaggio duplice, al governo e alla comunità internazionale. Il governo di unità nazionale si è insediato a fine settembre, è ancora debole e non funziona a pieno regime. Il neopresidente Ashraf Ghani e il quasi «primo ministro» Abdullah Abdullah – convinti dagli americani a una coabitazione forzata dopo un lungo contenzioso sugli esiti delle presidenziali – stanno ancora scegliendo i ministri. Dopo settimane di discussione, forse hanno trovato un’intesa sui ministeri più importanti, ma non su tutti: all’entourage di Abdullah finiranno la Difesa e gli Esteri (forse Salahuddin Rabbani, già a capo dell’Alto consiglio di pace), a Ghani le Finanze e gli Interni. Ma lo stallo politico rimane, e i Talebani sanno che devono approfittarne.

Il secondo segnale è alla comunità internazionale. Tra poche settimane la missione Isaf della Nato si concluderà. La maggior parte delle truppe straniere tornerà a casa. Con gli attentati multipli di questi giorni, i Talebani urlano ciò che la comunità internazionale non vuole ammettere: la Nato fa le valigie perché sconfitta. Se gli stranieri se ne vanno, le forze anti-governative rimangono.

Non è casuale che il rinnovato protagonismo militare dei barbuti avvenga proprio in questi giorni: ieri il Senato (Meshrano Jirga) ha ratificato il Trattato bilaterale di sicurezza tra Afghanistan e Stati Uniti, dal quale dipende la presenza dei soldati stranieri in Afghanistan anche dopo il 2014. Su 72 senatori presenti in aula, 65 hanno votato a favore, 7 contro (mentre due giorni fa alla Camera – Wolesi Jirga – erano stati 152 i favorevoli, 5 i contrari). I Talebani lo hanno scritto e ribadito: quel Trattato non va bene, perché prolunga l’occupazione militare, anche se la nuova missione Nato, Resolute Support, prevede sulla carta soltanto l’addestramento e l’assistenza alle forze di sicurezza locali.

Anche l’obiettivo inglese del mattino è significativo: il 4 dicembre a Londra si svolgerà un’importante conferenza internazionale sull’Afghanistan. A due anni da un simile incontro tenutosi a Tokyo, la comunità internazionale dovrà decidere quanti danari sborsare per un paese che non riesce a reggersi sulle proprie gambe. Colpendo gli inglesi, ieri i Talebani sono entranti a gamba tesa nella partita per l’Afghanistan post-2014. Non sono stati invitati alla conferenza. Ma ricordano che rimangono la più rilevante forza di opposizione.