Crolla il castello di carte di Benjamin Netanyahu. A soffiarci su è la sua stessa polizia. Due giorni fa il portavoce della polizia israeliana, Micky Rosenfeld, avrebbe rivelato alla Bbc che la leadership di Hamas non è stata coinvolta nel rapimento e l’uccisione dei tre coloni, Naftali Fraenkel, Gilad Shaer e Eyal Yifrah, il 12 giugno scorso. Dietro l’azione, una cellula separata che ha agito da sola.

A rivelarlo è Jon Donnison in una serie di tweet in cui il corrispondente della Bbc riporta le dichiarazioni di Rosenfeld: «Il portavoce mi ha detto che gli uomini che hanno ucciso i tre coloni israeliani sono una cellula separata, affiliata ad Hamas, ma non operante sotto la sua leadership. Ha anche detto che se il rapimento fosse stato ordinato dai leader di Hamas, lo avrebbero saputo prima».

Dichiarazioni che minano alla base la campagna punitiva lanciata dal governo israeliano e l’offensiva contro Gaza. «Sono stati rapiti e uccisi a sangue freddo da animali – disse dopo il ritrovamento dei tre corpi il premier – Hamas è responsabile e Hamas pagherà». Ben prima era cominciata una durissima operazione militare contro Cisgiordania e Gaza, subito dopo la scomparsa dei tre nei pressi di una colonia vicino al villaggio palestinese di Halhul, alle porte di Hebron. Il governo di Tel Aviv accusò immediatamente Hamas, nonostante il movimento abbia da subito negato qualsiasi coinvolgimento. In due settimane, fino al 30 giugno, giorno del ritrovamento dei tre corpi a poca distanza dal luogo del rapimento, 7 palestinesi sono stati uccisi, oltre 550 sono finiti in manette (molti dei quali rilasciati nell’autunno 2011 con l’accordo Shalit), perquisizioni, permessi di lavoro ritirati, raid nei villaggi. E bombardamenti, i primi, isolati, contro la Striscia.

Un’operazione che Israele giustificò con la necessità di ritrovare vivi i tre coloni. Eppure il governo israeliano, lo Shin Bet (i servizi segreti) e l’esercito sapevano – dicono diversi giornalisti – fin dal primo giorno che i tre erano già stati uccisi. La sera del rapimento uno di loro chiamò il numero di emergenza della polizia chiedendo aiuto. Durante la telefonata, registrata, si sentono degli spari e qualcuno gridare «ne abbiamo tre». I tre coloni erano già morti. E Israele ne era conoscenza. Subito il governo ha imposto il silenzio stampa ai media israeliani e lanciato una brutale campagna di propaganda, sia all’estero che in casa, contro il movimento islamista. Nei giornali e le tv non sono passate notizie fondamentali, come il ritrovamento dell’auto con cui i tre coloni erano stati portati via e all’interno della quale erano state trovate tracce di sangue. Intanto, fuori dalle stanze dei bottoni, si infiammava la rabbia della società israeliana e si innalzavano a livelli incontrollabili i tassi di violenza e razzismo anti-arabo, contemporaneamente al grado di consenso del premier Netanyahu.

Impossibile per Tel Aviv lasciarsi scappare una simile occasione: liberarsi di Hamas, giustificandola con un atto tanto brutale, e scaricare la colpa per il fallimento dei negoziati di pace sulla controparte palestinese. In realtà, hanno rivelato fonti militari dopo il lancio dell’operazione Barriera Protettivacontro Gaza, i generali dell’esercito avevano sul tavolo da almeno due mesi il piano di attacco contro la Striscia. E Hamas? Difficile credere che abbia ordito l’operazione, consapevole che avrebbe provocato una reazione in grado di far crollare il processo di riconciliazione nazionale con Fatah. Al momento del rapimento, il movimento islamista viveva una profonda crisi politica ed economica: isolato dal resto del mondo arabo, privo dei finanziamenti e della legittimità politica che gli garantiva l’Egitto del presidente islamista Morsi, incapace perfino di pagare gli stipendi dei dipendenti pubblici di Gaza, Hamas aveva estremo bisogno del governo di unità nazionale con il rivale Fatah. A livello politico, il rapimento dei tre coloni sarebbe stato un suicidio.

Se l’opinione pubblica israeliana non ha mai voluto mettere in discussione le scelte del proprio governo, bevendosi bugie e omissioni, una piccolissima fetta della società israeliana non è rimasta in silenzio. Nei giorni scorsi sono state tante le manifestazioni di protesta a Tel Aviv, Jaffa e Haifa contro i massacri in corso a Gaza. Migliaia di persone in strada, fino a ieri: il movimento pacifista israeliano ha organizzato una grande protesta a Tel Aviv che la polizia ha tentato di impedire. «Le forze di sicurezza hanno bloccato i bus da Haifa e Gerusalemme, chiuso le strade e minacciato di arrestare chiunque vi prenda parte – ci dice al telefono uno degli attivisti israeliani – Andremo comunque, vediamo cosa succede. La giustificazione che hanno dato è il pericolo di missili». Alle 20, ieri sera, erano già 3.000 i pacifisti in marcia.