Oggi come cinque anni fa. Una scuola dell’Unrwa, il riparo che accoglieva tante famiglie sfollate di Beit Hanoun, si è trasformata in un inferno. Colpi di cannone, caduti nel cortile della scuola, hanno mietuto altre 15 vite innocenti. Donne, bambini e impiegati palestinesi delle Nazioni Unite. Tutto terribilmente simile alla strage del 6 gennaio del 2009, durante l’operazione “Piombo fuso”, quando le cannonate centrarono in pieno la scuola Al Fakhura di Jabiliya, facendo più di 40 morti. «In pochi istanti se ne sono andati uomini, anziani, donne, bambini che si credevano al sicuro dietro le mura dipinte in blu con i loghi dell’Onu…Non c’è via di scampo nella Striscia di Gaza…da enorme prigione a cielo aperto, si è tramutata in una trappola mortale», scrisse quel giorno per il manifesto Vittorio Arrigoni. Tutto terribilmente vero, tutto tramendamente simile a quel racconto. Solo il numero delle vittime è diverso, 16 ieri contro le diverse decine di cinque anni fa. La morte che con i suoi continui funerali di “martiri” attraversa ogni giorno tutta Gaza, è giunta anche tra le mura di una scuola, luogo rassicurante per definizione, dove si immaginano bambini che corrono spensierati e che ieri sono stati falciati come fili d’erba.

 

Di fronte a questo nuovo bagno di sangue, il giornalista Oscar Giannino, quello del master mai conseguito a Chicago e delle due lauree non pervenute, si è sentito in diritto di commentare l’accaduto inviando questo tweet:

E mentre scriveva questo intelligente giudizio, Giannino forse si lisciava la sua barba risorgimentale e si metteva a posto il papillon, confortevolmente seduto sul divano di casa, a migliaia di chilometri da Gaza che sprofonda in un bagno di sangue. Come se quei ritrovamenti di armi avvenuti nei giorni scorsi, e condannati con forza dai funzionari dell’Onu, giustificassero l’uccisione di persone innocenti. Giannino che millanta pure una partecipazione allo Zecchino d’Oro dovrebbe mostare rispetto per i bambini fatti a pezzi dalle cannonate.

 

Come per il bombardamento di cinque anni fa, anche ieri è giunta la condanna, puntuale quanto inutile, del segretario generale delle Nazioni Unite. «Sono sconvolto dalla notizia dell’attacco alla scuola Unrwa nel nord della Striscia di Gaza – ha detto Ban Ki moon – Ancora una volta ribadisco che tutte le parti devono rispettare i loro obblighi in base al diritto umanitario internazionale. L’attacco di oggi sottolinea l’imperativo che le uccisioni devono fermarsi, e devono fermarsi ora». E naturalmente anche gli Stati Uniti, i maggiori fornitori di armi a Israele, chiedono che i civili siano protetti. «Siamo rattristati e preoccupati per questo tragico incidente. Esortiamo ancora una volta tutte le parti a raddoppiare gli sforzi per proteggere i civili», si è affrettata a dichiarare la portavoce del Dipartimento di Stato, Jen Psaki, senza fare riferimento al fallito tentativo del capo della diplomazia americana John Kerry, incapace di mettere sul tavolo un accordo di cessate il fuoco tra Israele e Hamas, fondato finalmente sul diritto internazionale. Da parte sua Israele ammette solo in minima parte le sue responsabilità. «Non siamo sicuri al 100% di quello che è successo a Beit Hanun. Ma sappiamo che in quella zona ci sono stati anche tiri di Hamas, così come anche la rappresentanza dell’Onu ne era al corrente, nella stessa zona prima c’erano stati in molte occasioni colpidi mortaio da parte di Hamas», ha detto Arieh Shalicar, il portavoce militare, provando ad addossare al braccio armato del movimento islamico l’uccisione dei 15 civili. Un’emittente israeliana ha riferito che nel cortile sono caduti due colpi di mortaio: forse israeliani, o forse di Hamas. Anche le Nazioni Unite evitano di arrivare a conclusioni affrettate.

 

Magari basterebbe soltanto dare pieno credito al racconto dei testimoni e sopravvissuti per sapere come è andata. Quando è arrivato il colpo gli uomini erano appartati e nel cortile si trovavano in prevalenza donne con i figli piccoli. Lo scoppio le ha centrate in pieno e il cortile si è trasformato in un lago di sangue. Oltre ai morti, ci sono decine di feriti, di cui cinque in condizioni gravi. Per chi era nella scuola non c’è dubbio che l’attacco alla scuola sia arrivato dall’esercito israeliano. L’edificio esponeva bandiere dell’Unrwa ed era colorato di azzurro, quindi ben distinguibile dal resto delle abitazioni. L’Onu peraltro, di fronte all’intensificarsi dei combattimenti, aveva cercato di concordare con Israele un “corridoio umanitario” per consentire lo spostamento a Gaza di almeno una parte degli sfollati. Troppo tardi.

 

In una giornata segnata dall’attacco a una scuola, finisce per passare in secondo piano persino la macelleria che è andata avanti a Khan Yunis, Khuzaa, Abasan, Rafah. Circa 90 morti in 24 ore, quasi 780, secondo i conteggi palestinesi, il totale degli uccisi in 17 giorni. 35 invece sono i soldati israeliani caduti in combattimentocon i militanti armati di Hamas (che avrebbe subito circa 200 perdite). I maggiori rappresentanti del governo Netanyahu ripetono che una tregua non è in vista, almeno sino a quando non saranno distrutte le gallerie sotterranee costruite da Hamas e cesseranno i lanci di razzi. Ieri il movimento islamico ne ha sparati numerosi verso il centro e il sud di Israele, anche in direzione dell’aeroporto di Tel Aviv nel chiaro tentativo di scoraggiare le compagnie europee dal seguire quelle americane che hanno deciso di ripristinare i voli da e per Israele.