Almeno 8 persone sono state uccise e altre 23 sono rimaste ferite dopo che un’autobomba è esplosa ieri nella capitale somala, Mogadiscio, al passaggio di un convoglio di sicurezza dell’Onu. L’attentato è avvenuto nei pressi di una scuola e la violenta esplosione, con colonne di fumo che si sono viste in tutta la città, ha provocato ingenti danni all’edificio e agli scuolabus, fortunatamente vuoti, parcheggiati nelle vicinanze.

«IL PRIMO BILANCIO provvisorio è di 8 morti e 23 feriti, in gran parte allievi della scuola – ha dichiarato all’Afp il portavoce della polizia, Abdifatah Aden Hassan -, al momento non è ancora chiaro se tra le vittime ci siano membri del convoglio Onu». L’attacco suicida è stato rivendicato nel tardo pomeriggio di ieri dagli al Shabaab, gruppo affiliato ad al-Qaeda. In una dichiarazione trasmessa sulla loro emittente radiofonica Andalus, il portavoce del gruppo, Abdiasis Abu Musab, ha dichiarato che l’attacco aveva come obiettivo «i funzionari occidentali scortati dal convoglio della missione Amisom per richiedere il ritiro definitivo degli stranieri dal sacro suolo somalo».

Una risposta del gruppo jihadista alla volontà da parte dell’Unione africana, a pochi mesi dalla scadenza prevista per fine dicembre, di «prolungare e aumentare le operazioni militari della missione Amisom», che vede impegnati oltre 20mila soldati di diversi paesi africani. Nonostante la cacciata di al Shabaab da Mogadiscio, nel 2011, le autorità federali controllano solo una piccola parte del territorio somalo, grazie soprattutto all’Amisom che, in numerose aree del paese, garantisce la fornitura di aiuti umanitari per la popolazione colpita costantemente da siccità e carestia.

L’Organizzazione regionale dell’Africa orientale (Igad), ha condannato l’attentato, attraverso il suo segretario esecutivo Workneh Gebeyehu che «ha condiviso il dolore di tutti i somali per il vile attacco».

L’ATTENTATO DI IERI è il terzo del genere in poche settimane. A settembre due attentati con autobomba hanno provocato altri 20 morti: il primo, lo scorso 14 settembre, con 9 militari somali uccisi a un posto di blocco e il secondo, il 25 settembre, contro un convoglio vicino al palazzo presidenziale che ha causato altre 11 vittime tra cui Hibaaq Abukar Hassan, consigliere del primo ministro per le donne e i diritti umani.

Lo scorso sabato il gruppo terrorista ha colpito il direttore dell’emittente radiofonica Radio Mogadiscio, Abdiaziz Mohamud Guled (celebre con il soprannome di Abdiaziz Africa) – voce critica nei confronti di al Shabaab e degli attentati contro civili inermi – che è stato ucciso da un attentatore suicida mentre usciva da un ristorante della capitale.

SECONDO NUMEROSI ANALISTI la Somalia viene ancora definita «un porto sicuro per il gruppo jihadista» che ha, de facto, il controllo su ampie porzioni di territorio nelle aree centro-meridionali della Somalia, dove «riscuote tasse, assoggetta i governanti locali e recluta con la forza i giovani dei villaggi». Una situazione che nell’ultimo periodo è andata peggiorando a causa dello scontro al vertice tra il primo ministro Mohamed Hussein Roble e il presidente della repubblica ad interim Mohammed Abdullahi (detto Farmajo) e dello stallo politico legato alle elezioni presidenziali, rimandate più volte dallo scorso febbraio.

IN UNA RECENTE AUDIZIONE al Consiglio di sicurezza dell’Onu sulla situazione nel paese, l’emissario delle Nazioni unite per la Somalia, James Swan, ha indicato che «il paese sta affrontando la sua peggiore crisi politica degli ultimi anni, con il concreto rischio di una sua completa disintegrazione a causa principalmente della costante minaccia jihadista di al Shabaab».