Sarebbero oltre 3mila le persone giustiziate dai miliziani del califfo al-Baghdadi in un anno di occupazione di Siria e Iraq. Uccisi con armi da fuoco, decapitati, crocifissi, lapidati. Ma finora a nessuna donna era stata tagliata la testa. Anche quel limite è stato superato: due donne accusate di stregoneria sono state decapitate in Siria a Mayadeen, nella provincia di Deir al-Zor.

Lo ha riportato l’Osservatorio Siriano per i Diritti Umani: «Lo Stato Islamico ha giustiziato due donne, decapitandole. È la prima volta che l’Osservatorio documenta di uccisioni di donne in questo modo». Sarebbero state uccise insieme ai mariti (anch’essi accusati di possedere amuleti, usati come pratica religiosa e medica nelle campagne siriane). Nelle stesse ore veniva pubblicata la notizia della crocifissione di otto persone, tra cui due minorenni, puniti dallo Stati Islamico per non aver digiunato durante il mese sacro di Ramadan. Sono rimasti legati alle croci per un giorno e poi liberati, ancora vivi.

Altre vittime che si aggiungono alle 3.027 uccise nel corso di un anno, secondo i dati dell’Osservatorio. Tra loro, oltre a ribelli e combattenti di gruppi rivali, si contano 1.787 civili, 86 donne, 74 bambini e 143 membri del califfato, accusati di essere spie straniere.

Il caso della decapitazione delle due donne siriane rimette a nudo una delle peculiarità dello Stato Islamico: la misoginia, figlia di un’interpretazione folle ed errata dell’Islam. E quando sono le donne a combattere direttamente i miliziani dell’Isis, la vendetta diventa terrificante. Lo sa bene Kobane, città kurda a nord della Siria, che – dopo essersi liberata dall’assedio jihadista grazie al fondamentale apporto delle combattenti kurde dell’Ypj – ha subito la scorsa settimana un sanguinoso raid dell’Isis: oltre 150 civili sono stati massacrati nelle proprie case, per lo più donne e bambini, prima che le forze militari kurde riuscissero a respingere l’assalto islamista.

E, come prima Kobane, ieri target del califfo è tornata ad essere Tal Abyad, città kurdo-siriana liberatasi dalla morsa islamista due settimane fa, il 16 giugno. Secondo fonti locali, ieri pomeriggio i miliziani dell’Isis hanno compiuto un raid a sorpresa contro la comunità e occupato un quartiere a est, strappandola al controllo delle Unità di Protezione Popolare (Ypg) kurde. Una scuola vuota è ora usata dall’Isis come propria postazione principale. Gli scontri sono ancora in corso: i combattenti kurdi stanno cercando di accerchiare i jihadisti per impedirgli di entrare in profondità nella città.

Redur Khalil, portavoce delle Ypg, ha fatto sapere che «decine di miliziani» dell’Isis sono entrati in città, strategica perché via collegamento con il cantone di Kobane (e quindi via di trasferimento di armi e combattenti kurdi) e potenziale punto di partenza di un’offensiva kurda verso Raqqa, “capitale” del califfato.

A preoccupare è il destino dei civili fuggiti in massa durante il precedente attacco dell’Isis verso la Turchia. Dopo la ripresa di Tal Abyad hanno cominciato a tornare in città. Lasciando quello stesso territorio da cui i miliziani dell’Isis hanno lanciato il primo brutale assalto: la Turchia. Ankara resta nell’occhio del ciclone, accusata da più parti di coprire da mesi le offensive dello Stato Islamico contro i comuni nemici kurdi.

Ieri è giunta la reazione del presidente Erdogan alle voci riportate lunedì dalla stampa turca, secondo la quale avrebbe ordinato l’invio di 18mila soldati nel nord della Siria per imporre la creazione di una zona cuscinetto lungo il confine. Con tanti obiettivi: trasferirvi le migliaia di rifugiati siriani in Turchia, impedire il “contagio” del modello democratico della Rojava e la creazione di un’entità statale kurda alla frontiera, spezzare la continuità territoriale dei cantoni kurdi di Kobane, Afrin e Azez.

Il consigliere di Erdogan, Ibrahim Kalin, in conferenza stampa ha rigettato le accuse affermando che ogni eventuale misura sarà presa in linea con gli obiettivi della comunità internazionale e avrà come unico scopo quello di mettere in sicurezza il confine turco. In sicurezza contro chi? Contro il confederalismo democratico kurdo e il nemico Assad.