Mentre il sud est della Turchia veniva colpito da un’autobomba probabilmente fatta esplodere da una cellula dello Stato Islamico, le forze turche erano impegnate a reprimere le celebrazioni per il primo maggio a Istanbul. Per impedire ai manifestanti di raggiungere piazza Taksim, da sempre teatro della festa dei lavoratori e nel 2013 simbolo delle proteste contro le politiche antidemocratiche e neoliberiste dell’allora premier Erdogan, il governo ha dispiegato circa 24.500 poliziotti in tutta la città.

Scene simili a quelle che resero famoso il parco Gezi: gas lacrimogeni e proiettili di gomma sparati contro la folla, un ferito e 207 arrestati. Ma soprattutto una vittima: un uomo di 57 anni è stato ucciso, riporta la Cnn turca, investito da un camion che portava un cannone ad acqua, da anni mezzo preferenziale per disperdere le manifestazioni di protesta.

Poco lontano, in via Talimhane, la polizia attaccava il comizio di alcuni sindacati indipendenti, arrestando altri cinque manifestanti. «Alcuni gruppi illegali che volevano mettere in pericolo la pace e la sicurezza della nostra gente hanno tentato marce illegali e manifestazioni intorno a Taksim, con il pretesto delle celebrazioni del primo maggio», si è giustificato l’ufficio del governatore di Istanbul che ha aggiunto di aver arrestato oltre 200 persone e di aver confiscato Molotov, fuochi d’artificio e poster illegali.

In migliaia hanno quindi raggiunto il distretto di Bakirkoy per poter comunque celebrare la giornata dei lavoratori. Anche lì però è arrivata la polizia che ha arrestato sostenitori dell’Hdp, il partito di sinistra pro-kurdo nel mirino del governo dell’Akp perché accusato di fare da portavoce del Partito Kurdo dei Lavoratori.

È di pochi giorni fa la rissa scoppiata in parlamento durante la sessione della commissione costituzionale chiamata a discutere la controversa proposta di legge dell’Akp per sospendere l’immunità parlamentare ai deputati dell’Hdp: il Partito Democratico dei Popoli ha chiesto la fine della campagna anti-kurda a sud est, prima che pugni e calci prendessero il posto del dibattito.

Fuori dalle aule parlamentari scontri ben più seri esplodevano a Istanbul tra giovani sostenitori del Pkk e la polizia, naturale reazione alle brutali operazioni militari contro la popolazione kurda, in atto dal luglio del 2015 e responsabile della morte di almeno 338 civili (dati della Human Rights Foundation of Turkey).

E mentre Ankara si concentrava sulla repressione delle manifestazioni popolari, domenica un attentatore suicida si faceva esplodere a Gaziantep, città meridionale al confine con la Siria. Il bilancio è di due poliziotti uccisi e oltre 20 persone – tra cui civili – ferite. Nel mirino del kamikaze è finito il quartier generale della polizia che poco dopo ha arrestato alcuni sospetti membri dello Stato Islamico, considerato il responsabile dell’attacco.

In particolare al padre del presunto attentatore è stato effettuato un test del Dna per verificare l’identità del kamikaze. L’uomo è stato poi identificato dalle impronte digitali: si tratterebbe di I. G, membro della cellula islamista “Ahmet Gunes”. Durante la perquisizione della sua abitazione sono stati detenuti il padre, i fratelli e la moglie.

E sempre domenica il Tak, Kurdistan Freedom Hawks, gruppo separatista kurdo un tempo affiliato al Pkk ma poi allontanatosi dal movimento del leader Ocalan, ha rivendicato l’attentato di Bursa del 27 aprile. La 23enne Eser Cali, membro del gruppo, è saltata in aria vicino alla Grande Moschea prima di raggiungere il suo obiettivo, ferendone 13 persone.