Quella di ieri è stata sicuramente la peggior giornata del 2016 per il premier indiano Narendra Modi. Un sisma nella zona orientale del Paese e, a Ovest, l’attacco a un consolato indiano a Mazar, in Afghanistan, che al calar del sole non era ancora terminato.

Ma al calar del sole non era nemmeno terminato il terzo giorno di battaglia tra un manipolo di guerriglieri e una delle maggiori potenze militari del pianeta. Alle tre del mattino di sabato, dopo aver sequestrato alcune persone, almeno sei guerriglieri che fanno capo all’Ujc (il “cartello” kshmiro Consiglio unito del jihad) e a una fantomatica “Highway Squad”, di cui finora non si era avuto notizia, sono riusciti a penetrare in una base dell’aviazione indiana che sorveglia il confine pachistano – a qualche decina di chilometri in linea d’aria – e l’area del Kashmir, ferita mai rimarginatasi dopo la Partition del 1947 che ha diviso il Raj britannico tra India e Pakistan con tutte le malattie che ne sono derivate.

Sabato pomeriggio, il governo aveva annunciato una fatidica “missione compiuta” ma prima che ieri scoccassero le sei di sera, lo stesso ministro dell’Interno che aveva dato per chiusa la partita di Pathankot, dove ha sede la base, doveva ammettere di aver detto sabato una bestiata, dettata forse dalla fretta e dall’imbarazzo di aver faticato – allora – 12 ore per averla vinta. Salvo scoprire che alcuni sabotatori erano ancora all’interno della base e ancora non è chiaro se la partita sia davvero chiusa (i guerriglieri morti sarebbero sei). Dalla vicenda afgana, che riguarda comunque un problema di sicurezza dell’apparato consolare, alla brutta storia di Pathankot, per il decisionista Modi son ore dure. E non solo per la morte di sette “jawan”, come in gergo sono chiamati i militari. Ma perché la vicenda di Pathankot è piena di buchi e soprattutto, dice qualcuno, quei buchi si devono proprio a un uomo che ha accentrato poteri e decisioni.

Scelte che, in casi come questo, fan venire al pettine più di un nodo.

Oltre alla bagarre interna, al problema di mettere in sicurezza una base militare molto ampia e l’apparato diplomatico all’estero, c’è poi la questione tutta politica dei rapporti col Pakistan.

Pathankot e Mazar sono strettamente legati: che siano talebani in un caso (non c’è ancora una rivendicazione) e mujahedin kashmiri nell’altro, la fobia per il Pakistan non può che aumentare.

E benché il comunicato dell’Ujc prenda le distanze da Islamabad sostenendo che i guerriglieri stanno agendo in autonomia per la secessione del Kashmir, tutto ciò non può che suonare alle orecchie dei falchi indiani come l’ennesima provocazione di un Pakistan percepito più come il vero grande nemico che non come il gemello con cui è bene riconciliarsi. Riconciliazione difficile e appena iniziata col viaggio di Modi in Pakistan nel dicembre scorso e ora a rischio. E’ pur vero che Islamabad ha condannato l’attacco di Pathankot e che Delhi ha fatto sapere che un attentato non basta a far deragliare il dialogo, ma è anche vero che gli attentati adesso sono due, uno dei quali ha impegnato i soldati indiani per giorni. Delhi ha intanto reso noto che, del possibile incontro dei ministri degli Esteri – passo fondamentale per dar luce verde al dialogo tra i due colossi –, se ne riparlerà a operazione veramente conclusa, quando su Pathankot (e indagini correlate) sarà scritta la parola fine.

Per Islamabad l’imbarazzo non è meno grande e in un momento difficile nei rapporti internazionali. Uno dei suoi alleati per eccellenza, la retriva e ricca monarchia dei Saud – che non ha mai mancato di dare il suo sostanziale appoggio al governo pachistano e alle varie bande jihadiste del Paese – sta scaldando i motori contro Teheran. L’ultima avventura cui Islamabad vorrebbe partecipare: il Pakistan aveva già irritato i Saud quando, all’inizio della guerra nello Yemen, aveva risposto con una certa freddezza alla chiamata di Riad, limitandosi a frasi di rito ma rifiutando di inviare soldati. Poi, quando i Saud si sono inventati la coalizione islamica anti terrorismo, il Pakistan ha addirittura fatto sapere di non essere stato consultato. Mentre cerca di evitare una guerra a oriente Riad gliene propone una a occidente. Anche qui son nodi al pettine.