Quando uscì negli Stati Uniti Indemnity Only, il primo romanzo di Sara Paretsky, Raymond Chandler e Dashiel Hammett erano morti da oltre vent’anni. Era il 1982 e una nuova generazione di romanzieri si affacciava al proscenio: scrittori che si identificavano in un generico post, guidati dall’imperativo di recuperare o rinverdire filoni aurei del novel apparentemente esauriti. Uno dei risultati più eclatanti – nel già ponderoso corpus del noir americano – è probabilmente il Los Angeles Quartet del celebrato James Ellroy, al quale tuttavia va riconosciuta una collocazione sui generis, grazie soprattutto all’ampio respiro storico che le sue trame-affresco tendono ad assumere.

Indemnity Only, che precede The Black Dahlia di alcuni anni, fu accolto sin dall’uscita come uno dei tentativi più riusciti di restituire al lettore, sotto una nuova luce, il piacere di immergersi in un romanzo di atmosfere – ciò che aveva reso l’hard boiled degli anni venti e trenta uno dei generi più amati e imitati. A leggerlo oggi – nella fresca traduzione di Luca Briasco, sotto il titolo I re della truffa (minimum fax, pp. 321, € 19,00) – l’esperimento appare fin troppo «dichiarato», senza aver perso perciò la sua dote principale di scorrevole divertissement.

«Indemnity Only» è un titolo che fa riferimento alle polizze assicurative anti-infortunistiche, e cita esplicitamente un caposaldo del noir, quel Double Indemnity di James M. Cain, novella del 1943 da cui Billy Wilder e Raymond Chandler trassero l’indimenticabile La fiamma del peccato. Le vicende ruotano attorno a un sindacato gestito in modo opaco, e contemplano un duplice omicidio nel quale la protagonista si ritrova invischiata contro la propria volontà (ma la trama è di scarso rilievo, tanto che il risvolto dell’edizione italiana riassume – icastica e puntuale –, le prime cento pagine).

L’intuizione di Paretsky – inserire in un contesto perfettamente hard boiled, anziché il solito nipotino di Marlowe, una detective – funziona nel conferire a tutto il romanzo un passo allo stesso tempo citazionista e parodistico, mentre rievoca da un lato i meccanismi perfettamente asessuati della «detective fiction», e dall’altro esalta, beffardamente, l’idiozia maschilista di chi, pur stando dalla parte della protagonista, non accetta fino in fondo la sua indipendenza nel ruolo di investigatrice.

I re della truffa segue V.I. Warshawski, questo il nome della detective privata al centro dell’indagine, in una serie di spostamenti e dialoghi inverosimili, spesso di stampo fumettistico: sensazione accentuata da una patina anacronistica che si è posata soprattutto sui dialoghi e sulle scene d’azione minuziosamente descritte. Di tutti gli elementi altamente improbabili che costellano la trama, solo alcuni non trovano posto in quella che si direbbe una precisa progettualità romanzesca: attingendo ai dialoghi sarcastici, alle atmosfere umbratili dei bar di una metropoli sanguinaria (nel caso di specie, la assai poco raccomandabile Chicago degli anni ottanta), e a poche ma intense esplosioni d’azione – alcuni degli elementi cardine dell’hard boiled classico – Paretsky allestisce la cornice perfetta per un personaggio spassoso e detestabile (come tutti i suoi predecessori); e mette tuttavia al centro delle vicende una donna costretta ad affrontare tutte le complicazioni del suo ruolo, senza retorica, e senza mai cadere nel vituperato personaggio maschile «sotto mentite spoglie». Soprattutto, senza mai distrarsi da quello che resta un buon noir, eccentrico e spassoso.