«Ogni persona che passa nella nostra vita è unica. Sempre lascia un po’ di sé e si porta via un po’ di noi. Ci sarà chi si è portato via molto, ma non ci sarà mai chi non avrà lasciato nulla». Un’asserzione di Jorge Luis Borges che delinea nell’essenza e nella concretezza il sentimento permeante l’opera di Luigi Maria Lombardi Satriani: «Vaghe stelle dell’Orsa. Il passato è il futuro» (LuoghInteriori Editore, 2019). Un libro di struggente e sommessa magnificenza che più di un’autobiografia intellettuale è un’autoeterografia che cela il proprio centro, dove l’Io dell’autore si racconta raccontando gli altri, alla ricerca di un filo, un segno che miri a sistemare i compositi tasselli di quel rebus che è l’esistenza. «Vaghe stelle dell’Orsa» compone un singolare «atlante della memoria» sulla traccia di Aby Warburg che traccia il bilancio di una pregevole vita intellettuale e una catabasi tra le ombre di maestri e amici che non ci sono più. Un romanzo autobiografico basato sul concetto e sul recupero della memoria collettiva che potrebbe definirsi, utilizzando un affascinante lemma demartiniano, «villaggio vivente nella memoria» che prende forma attraverso una suggestiva galleria di personaggi. Il senso di siffatta carrellata di memorie e considerazioni consiste nel riconoscimento di un vigoroso debito verso gli altri. «Io sono un epigono, nel senso letterale della parola, – attesta Giorgio Agamben – un essere che si genera solo a partire da altri e non rinnega mai questa dipendenza, vive in una continua, felice epigenesi».

Ed è proprio dalle citazioni cariche di sincerità presenti in «Autoritratto nello studio» di Agamben che Lombardi Satriani è colpito e attraversato intensamente e che gli chiariscono le ragioni per cui ha costruito il saggio-autobiografico che restituisce agli altri e a se stesso figure e attimi che hanno edificato la propria esistenza, contrassegnandola e valorizzandola di sentimento. Ma chi sono gli altri che vengono ricordati, rivissuti con una scrittura polifonica acconsentendo un organizzato innesto di epoche? È una lunga lista di nomi – un pantheon multiforme – che merita di essere menzionata almeno in parte: in primis Raffaele Lombardi Satriani, Mariano Meligrana, Ernesto de Martino, Annabella Rossi, Clara Gallini, Vito Teti, Roberto De Simone, Marc Augé. Da siffatti nomi affiorano orientamenti politici, scientifici e passioni che hanno affascinato l’esistenza di uno dei maggiori antropologi e intellettuale del nostro tempo.

In «Vaghe stelle dell’Orsa» la personalità di Lombardi Satriani si confronta compenetrandosi con gli altri ricavando intuizioni, pensieri, sensazioni, percezioni, emozioni divenendo metaforicamente loro; d’altronde loro sono la totalità delle persone incontrate, conosciute, amate e quindi sono altresì immancabilmente noi stessi. Ciò crea un’osmosi, un’empatia culturale e passionale che è nella logica degli sguardi che diventano edificanti, per cui è legittimo sostenere che noi siamo l’altro, e che l’altro è noi. Ad avvalorare ciò è Michail Bachtin chiarendo che non è pensabile parlare di se stessi senza distaccarsi dal proprio Io e osservarsi dall’esterno. L’esterno composto da spazi, quelli dove le storie degli altri si intersecano con la propria e l’Io assimila gli avvenimenti che ha vissuto. La scommessa di Lombardi Satriani è parlare di sé parlando esclusivamente degli altri attraverso una scrittura e un pathos che si autoalimentano come nell’«Allegoria della scienza» di Giovanni Serodine (presente in «Autoritratto nello studio» di Agamben): «Dirige verso le proprie labbra il getto di latte che scaturisce dal seno destro».

Il tutto richiama alla mente l’asserzione di Italo Calvino, secondo il quale «la memoria conta veramente se tiene insieme l’impronta del passato e il progetto del futuro, se permette di fare senza dimenticare quel che si voleva fare, di diventare senza smettere di essere e di essere senza smettere di diventare». Perché questo è il ‘compito’ preminente di «Vaghe stelle dell’Orsa»: difendere la memoria collettiva, affinché non cada nell’oblio, narrando degli altri. Così Lombardi Satriani: «La parola scritta salva, dunque. Ma la parola scritta, anche, per me dà la vita, a se stessi e agli altri; li dice, rendendoli come se fossero vivi e parlanti. Questo, lo ripeto ancora, il tèlos del mio peregrinare in Vaghe stelle dell’Orsa».

Un tragitto autoeterografico che richiede uno ‘specchio sociale’ entro cui riflettersi…