Nell’atrio dell’ateneo di Bari ieri mattina in via Crisanzio, e all’entrata sul lato opposto del massiccio quadrilatero in via Nicolai, sono comparsi manifesti listati a lutto. Li hanno attacchinati i precari amministrativi dell’ateneo il cui contratto scadrà a fine dicembre. «Con i limiti di spesa imposti per il reclutamente del personale a tempo determinato – ha spiegato Luca De Toma, portavoce del coordinamento dei precari – non si potranno più tenere in servizio 60 unità dal 31 dicembre». Questa potrebbe essere una delle conseguenze del decreto 713 con il quale la ministra dell’università Maria Chiara Carrozza ha distribuito i «punti organico» per il turn-over 2013 agli atenei. C’è anche il rischio di tagliare corsi di studio e l’aumento delle tasse agli studenti. Un rischio che ha portato a una mobilitazione fulminea nel Politecnico della stessa città, a Lecce e Foggia, alla Federico II o l’Orientale a Napoli, negli atenei calabresi o molisani. Le lezioni sono state sospese per ore. Le aule si sono riempite con grandi assemblee. Gli studenti leccesi hanno deciso di occupare l’Ateneo (Palazzo Codacci-Pisanelli) «contro le politiche che stanno smantellando l’Università pubblica». «Non possiamo accettare – scrivono – che i nostri corsi di studio e i nostri Atenei chiudano, che si continui ancora a tagliare sulla formazione, che ci venga ancora negato il diritto allo studio».

Il pasticcio contabile («meritocrazia» lo definisce il ministro Carrozza)che ha punito gli atenei meridionali, discriminandoli da quelli del centro-Nord, è stato ricostruito dalla rivista Roars.it, la prima ad avere lanciato l’allarme che poi è diventato una questione nazionale. Le basi della surreale, ma quantomai sostanziosa, «guerra dei punti» tra gli atenei è sono state poste dalla spending review del governo Monti nel 2012. Questa politica del risparmio ha applicato il turn-over a livello di sistema universiario nel suo complesso e non più a livello del singolo ateneo come avveniva in precedenza. «Per la prima volta nella storia dell’autonomia universitaria – spiega Beniamino Cappelletti Montano su Roars.it – e senza alcun analogo in altri comparti pubblici, i livelli di turn over negli atenei non vengono determinati in base al numero di pensionamenti, ma in base ad un “campionato” la cui classifica è stata stilata sulla base di un indicatore finanziario (Isef)».

Nel 2012 il campionato si è concluso con il mantenimento dello status quo. Questo è stato possibile in virtù di una «clausola di salvaguardia» che ha neutralizzato gli effetti distorsivi di uno degli algoritmi che governano la vita degli atenei. Il turn-over, cioè la regola d’oro a cui tutta la pubblica amministrazione (università comprese) deve attenersi in un periodo di penuria di fondi, oscillava tra il 12% e il 30%. Questa clausola non è stata però rinnovata con un apposito decreto dal governo Letta e all’inizio del nuovo campionato la situazione si è presentata in maniera totalmente squilibrata.

La gara è stata falsata al punto che la scuola Sant’Anna (di cui la ministra Carrozza è stata rettrice) ha ricevuto un premio extra del 213%. La stessa cosa è accaduta alla Normale di Pisa, e a molti altri atenei del nord del paese. Quelli meriodionali, pur mantenendo un rendimento onorevole secondo i criteri stabiliti dalla meritocrazia governativa, si sono ritrovati in basso alla classifica, con un turn-over ben al di sotto del 20%.

Nella follia permanente della valutazione imposta dalla riforma Gelmini, gli atenei del sud saranno dunque costretti a giocare tutte le carte per strappare quel mezzo punto in più e non finire in zona retrocessione. Per farlo saranno costretti ad aumentare le tasse agli studenti e ai dottorandi, tagliando i costi delle docenze a contratto, già oggi miserabili. Tutto questo avrebbe potuto essere evitato con il mantenimento della «clausola di salvaguardia». Pur adeguandosi alla spending review imposta da Monti, in un incontro ieri a Roma i rettori hanno chiesto a Carrozza di ripristinarlo. L’incontro era previsto inizialmente a Napoli, gli studenti dell’Udu si sono chiesti: «Carrozza aveva paura di essere contestata dagli studenti o ha rinunciato per la paura di essere sbugiardata?».

In un documento comune i rettori hanno chiesto di recuperare le «disparità» del decreto e il superamento della «divergenza tra i criteri di attribuzione dei punti organico». Carrozza non sembra volere tornare indietro. Ha proposto «tavoli tecnici» e ha confermato che è in arrivo una delega che ridisegnerà, tra l’altro, «le modalità di finanziamento tenendo conto delle peculiarità territoriali». Per il rettore dell’università della Basilicata Mauro Fiorentino il governo non tiene in conto «i problemi del Mezzogiorno». E ha aggiunto: «Oggi manca una mediazione politica» che osservi «i principi costituzionali di sussidiarietà e uguaglianza». Dopo settimane di proteste, un nulla di fatto. «L’università rischia il collasso – afferma Alberto Campailla, portavoce degli studenti di Link – non ci sono stati impegni concreti sul ripristino dei 300 milioni di euro sul diritto allo studio e dei 41 milioni di fondi straordinari per gli atenei. Una riforma dell’università dev’essere costruita con la comunità accademica, a partire dagli studenti».