Ad Atene l’emergenza non è solo quella sanitaria causata dalla pandemia da Covid19. È un’altra lunga e difficile estate per molti profughi che hanno lasciato il sovraffollato campo di Moria sull’isola di Lesbo. «Atene è una specie di giungla. Qui nessuno è cattivo ma è la situazione a essere tale», racconta Jalal, giovane studente afgano scappato dalla guerra e ora in cerca di opportunità in Europa. «Dopo aver ricevuto il permesso di soggiorno sto cercando un lavoro come interprete, ma per ora è stato impossibile», dice.

Attorno a lui, in piazza Vittoria, a un paio di chilometri dalla collina dell’Acropoli, ci sono circa 200 persone, uomini, donne e bambini costrette a passare giorno e notte sul selciato. Senza neppure una panchina, dove poter appoggiare i propri effetti personali visto che, a inizio luglio, la polizia è intervenuta per rimuoverle su richiesta dei residenti. «Ho tre figli piccoli e mia moglie. Ora sono ospiti da un amico perché per il più piccolo di sette mesi fa troppo caldo stare per strada» dice Vali che, come Jalal, dopo essere fuggito dall’Afghanistan è arrivato in Piazza Vittoria e ancora non ha lavoro né residenza.

Secondo il report «Recognised but unprotected: the situation of refugees in Victoria Square», pubblicato dalla Ong Refugees Support Aegean (Rsa) e Pro Asyl, il suo non è un caso isolato: meno del 4% delle persone con lo status di rifugiato in Grecia ha ottenuto sussidi per l’affitto dall’inizio del 2018. In totale, alla fine di giugno, solo 2.484 ne hanno beneficiato tramite il programma Helios. Un numero ben al di sotto degli 11.000 che ne avrebbero avuto diritto.

Di origine afghana, «al 90%», conferma con sicurezza una suora mentre gioca coi più piccoli, gli uomini e le donne in piazza Vittoria vengono dalle isole greche di fronte alla Turchia che le autorità stanno evacuando da giugno. «I rifugiati sono stati informati di dover lasciare i luoghi di prima accoglienza e integrarsi nella società alle stesse condizioni dei cittadini greci», si legge ancora nel report di inizio agosto di Rsa che denuncia l’assoluta mancanza di «misure per mitigare i durevoli ostacoli che i rifugiati affrontano nell’ottenere la documentazione necessaria per godere dei diritti basilari in Grecia».

Come raccontano Jalal e Vali, infatti, l’aver ottenuto lo status di rifugiati non è altro che l’inizio di un’altra odissea. Meno lunga e pericolosa, certo, di quella passata attraversando i territori dell’Asia Minore e sui barconi dalla Turchia alle isole greche, ma ugualmente snervante e faticosa nelle strade e nelle piazze ateniesi.

Il programma di supporto Helios, finanziato dai governi europei e gestito dall’Iom (Organizzazione mondiale per le migrazioni) è il principale imputato della situazione. Nonostante tra i suoi obiettivi ci sia, infatti, di supportare i rifugiati nella ricerca di una sistemazione autonoma, nella realtà gli alloggi vengono assegnati solo in presenza dell’Afm, una sorta di codice fiscale che a sua volta si può ottenere solo fornendo il certificato di residenza. Peccato che dormire in piazza Vittoria non dia ovviamente questa possibilità. Per l’assenza dei requisiti minimi di vivibilità e per il rischio concreto di interventi violenti da parte della polizia. Come a inizio luglio, quando il tentativo di sgomberare il campo profughi improvvisato ha portato al ferimento di donne e bambini e all’arresto di una ventina di persone.

Nonostante ciò, nelle calde giornate di agosto, la piazza rimane l’unica possibilità per molti rifugiati e ancora si riempie di persone e cose a tutte le ore: di giorno ci sono i bambini che giocano e i capannelli di uomini e donne che chiacchierano, di notte spuntano i cartoni e qualche stoffa utili per dormire. Secondo i dati della Ong Rsa, solo nel mese di giugno circa 1.100 persone hanno lasciato l’hotspot di Moria e più di 200 sono finiti – come confermano anche i racconti di Vali e Jalal in piazza Vittoria – all’aria aperta o in qualche edificio occupato della capitale.

Senza lavoro e alloggio, il documento che riconosce la protezione internazionale, ricevuto a Lesbo dalle autorità greche ansiose di dimostrare all’Europa di prendersi cura dei migranti trasferendoli dalle isole alla terraferma, rimane quello che è: solo un pezzo di carta.