Gli esami, almeno per la Grecia, non finiscono mai. Devono essere ancora definiti con precisione i «dettagli tecnici» che porteranno al versamento dei sette miliardi e cinquecento milioni di euro da parte delle istituzioni creditrici.

Bisognerà vedere se si tratterà davvero solo di dettagli, o di richieste di cambiamento di parte delle leggi approvate recentemente. Oltre a tutto ciò, il governo di Atene ha deciso già di rivedere parte delle misure votate dieci giorni fa.

Ritorna la serrata legale

Un passaggio poco chiaro, secondo le opposizioni, permetterebbe a ministri e deputati di possedere delle partecipazioni a società offshore, in paesi che hanno stabilito, però, rapporti di collaborazione con la Grecia. Dopo le reazioni del centrodestra – ma anche di gran parte dello stesso gruppo dirigente di Syriza – la portavoce del governo Olga Ierovassili ha annunciato che il provvedimento verrà modificato, per non permettere possibili fraintendimenti.
Di esami, tuttavia, come sottolineano anche analisti vicini alla sinistra greca, ce ne sono anche altri, e molto più importanti. Si tratta, principalmente, della legislazione sul lavoro nel suo complesso. Sinora il Fondo monetario internazionale non ha fatto mistero delle sue intenzioni: chiede la liberalizzazione dei licenziamenti collettivi nel settore privato, una nuova legge che regolamenti in modo rigidissimo il diritto di sciopero, nonché il ritorno alla «serrata dei datori di lavoro», che in Grecia è chiamata lock-out e non è più prevista dal 1982.
Tutto questo, in un paese dove più della metà dei pochi, nuovi contratti, sono part-time, mentre moltissime società hanno anche imposto contratti aziendali o personali, depotenziando in modo clamoroso il ruolo dei sindacati.

Il Fondo monetario internazionale tuttavia insiste che solo così si potrà far tornare il paese alla necessaria produttività ed assicurare l’aumento della competitività dell’economia ellenica. Quanto alla disoccupazione, gli esperti del Fondo monetario internazionale si dicono convinti che con questa ennesima «cura da cavallo» sarebbe destinata a calare. Il che è tutto da verificare, mentre è praticamente certo che si sta comunque parlando di stipendi al limite e sotto la soglia dell’indigenza, da cinquecento e seicento euro al mese, se non anche più bassi.

Stavolta Tsipras rischia

Tutti aspettano di poter vedere cosa succederà veramente. Alexis Tsipras ha ribadito più volte che è necessario poter rimettere in vigore i contratti collettivi di lavoro e sinora si è opposto a tutti i tentativi volti a far approvare i «licenziamenti senza alcun limite».

Poiché capisce bene, ovviamente, che in una situazione di crisi i datori di lavoro hanno già un potere molto più esteso del normale. Come anche che i lavoratori sono facilmente ricattabili e che con la distruzione delle leggi a garanzia del lavoro verrà favorita ogni logica che risponde al detto «mors tua, vita mea», tra cui delazioni e piaggerie, pur di mantenere uno straccio di stipendio.

È indubbiamente vero, d’altronde, che in questa fase la Grecia, su questo fronte, non ha dei forti alleati in Europa: Hollande sta continuando a insistere sul suo Jobs Act, malgrado le continue mobilitazioni della società francese, mentre in Italia la legge è già passata e già ci si accorge della necessità di modifiche che possano limitare gli innumerevoli abusi, per un sano «ritorno al passato».

La contrapposizione con i creditori sulla «riforma» del mercato del lavoro potrebbe diventare, come già sottolineano in molti, il vero banco di prova per il futuro del governo guidato da Syriza. Soccombere potrebbe voler dire dover abbandonare anche l’esecutivo ed è per questo che – malgrado l’equilibrio di forze sfavorevole – Tsipras e i suoi devono riuscire a portare a casa il miglior risultato possibile, senza concessioni che potrebbero rivelarsi fatali, per il paese e per la Sinistra nel suo insieme.