Domenica 3 giugno i romani saranno chiamati ad esprimersi sul referendum consultivo che chiede la messa a bando del servizio ora di Atac. Le 33 mila firme raccolte la scorsa estate dai Radicali hanno portato a questo voto che sostanzialmente chiede di privatizzare l’azienda di trasporto pubblico ora in concordato fallimentare per un debito stimato in un miliardo e 300 milioni.
A poco più di due mesi dal voto parte la mobilitazione sul fronte del No. Nel giro di pochi giorni si stanno costituendo due distinti comitati. Il primo è stato costituito formalmente ieri, si chiama «Mejo de no» ed è appoggiato – udite udite – da parecchi consiglieri municipali del Pd, in aperta contrapposizione ai Radicali (eletti in parlamento in coalizione col Pd) e a molti esponenti che hanno appoggiato la lotta per la privatizzazione: l’ex candidato sindaco Roberto Giachetti e colui che potrebbe esserlo fra tre anni: Carlo Calenda.
L’altro sarà formalizzato mercoledì 4 aprile in Campidoglio e sarà formato «da un fronte trasversale: partiti come Leu e Potere al Popolo, comitati di cittadini come quello dei Pendolari guidato da Maurizio Messina e urbanisti come Paolo Berdini e Vezio De Lucia», annuncia Stefano Fassina.
Quanto al primo comitato ieri una nota informava che «Mejo de No» ha come «scopo concretizzare un percorso condiviso e diffuso nella città sulle ragioni del ‘No’ con un’assemblea già convocata per il 3 aprile. Il comitato è lanciato da lavoratori Atac che infatti stamattina saranno «davanti ai depositi di Tor Sapienza e Grottarossa, ma anche davanti alla sede di Via Prenestina e alla Stazione Termini. «Cerchiamo l’unità e la voce di quanti, dai cittadini ai lavoratori, dagli utenti agli amministratori locali, finanche agli studenti e agli intellettuali, credono che il trasporto pubblico sia bene comune. Una campagna informativa unitaria e coerente – conclude la nota – con l’idea che sia possibile un discorso diverso da quello di una liberalizzazione non spiegata fino in fondo nei suoi possibili effetti».
La situazione dell’azienda è sempre grave e la gestione del concordato da parte della giunta Raggi e del nuovo management appare tutt’altro che solida. A pagarne le spese sono stati subito e come al solito i lavoratori. Lo scorso 8 marzo sono stati licenziati 140 operai della Corpa, azienda a cui era appaltata la manutenzione dei bus semplicemente perché l’appalto non è stato rinnovato.
Il concordato chiesto al tribunale fallimentare per evitare la chiusura doveva essere corredato da un piano di rientro. Lo ha redatto il neo ad di Atac Paolo Simoni senza però soddisfare i giudici che il 23 marzo hanno chiesto integrazioni, nuove garanzie e documenti. Il 30 maggio si terrà l’udienza che deciderà sulla sostenibilità del piano che dovrà poi essere approvato dai creditori per evitare il fallimento.
«Il concordato è stata una scelta fatta dalla giunta Raggi tenendo all’oscuro il consiglio comunale – denuncia Stefano Fassina – . Per questo abbiamo chiesto un consiglio comunale straordinario che si terrà dopo pasqua in cui chiederemo alla giunta di chiarire la sua posizione. La buona riuscita del concordato è imprescindibile per salvare l’azienda e i lavoratori ma finora le scelte sono state improvvisate e non hanno tenuto conto che l’Atac è del comune di Roma e quindi del consiglio, non della giunta».
Proprio la posizione dei grillini sul referendum – non si esclude che anche loro diano vita ad un comitato per il No – sarà decisiva per l’esito. Nel frattempo Raggi ha sfruttato il concordato per scavalcare la scadenza dell’affidamento ad Atac fino al 2019 e prolungarlo fino al dicembre 2021. Il tutto sebbene l’Antitrust abbia espresso un parere non favorevole all’ipotesi.