Le barche pubbliche o Nile bus, gialle e verdi, collegano al Cairo le varie sponde del Nilo. Se ne vedono alcune ancorate di fronte al palazzo della televisione di Stato (Maspiro), ma si trovano in ogni angolo della città. Bastano 25 piastre (3 centesimi di euro) per raggiungere Embaba da Zamalek (Abu Feda) e 2 ghinee (35 centesimi) per andare da Tahrir a Giza. Il viaggio è più confortevole che in microbus e la vista è migliore. Ma l’imbarcazione più suggestiva che attraversa il Nilo va da Tahrir a Qanater. C’è un solo viaggio al giorno, alle 10 del mattino. Sul traghetto bambini, donne velate e non, stranieri, due dj allietano il viaggio con musica shaabi pop. Al passaggio del ponte di Embaba tutti sono obbligati ad abbassarsi per evitare la struttura di ferro.

Il Nile bus attraversa il quartiere di Gezira El-Hurra, con sullo sfondo le ciminiere delle industrie elettriche di Shubra. Ad un certo punto non si scorgono più palazzi e grattacieli, ma campi verdi, di banane, mucche, case basse e pescatori. I passeggeri sbarcano a Qanater, i bambini cavalcano su piccoli cavalli o si affrettano tra le giostre.
Abbiamo raggiunto la diga costruita nell’Ottocento da Mohammed Ali in stile inglese, con pietre e torri. Da qui comincia il nostro viaggio tra Cairo e Addis Abeba per scoprire i misteri di uno dei progetti più controversi per la divisione delle acque del Nilo: la Grande diga della Rinascita che mette in crisi le relazioni tra Etiopia ed Egitto.

La diga della Rinascita
Lo scorso maggio l’Etiopia ha avviato la deviazione delle acque del Nilo, parte del progetto per la costruzione della diga della Rinascita. L’imponente opera del governo etiope, il terzo (Gibe III) di una serie chiamata Gilbel Gibe, dovrebbe costare intorno ai 3,5 miliardi di euro con finanziamenti diretti del governo di Addis Abeba e con un contributo di 1,3 miliardi di euro dalla Cina. L’assetto dei finanziamenti si è concretizzato dopo il grande rifiuto di concedere prestiti da parte della Banca europea per gli investimenti (Bei), in seguito alla pubblicazione del rapporto sulla costruzione della prima diga Gilbel Gibe di cui parleremo in seguito.
La terza diga produrrà circa 5mila Mw l’anno. Ma l’avvio dei lavori in Etiopia ha causato una durissima reazione in Egitto che da anni osteggia il progetto. Le trattative della Commissione tripartita tra ministri degli Esteri e delle risorse idriche di Egitto, Sudan e Etiopia non avevano portato frutti. Alcuni politici salafiti hanno suggerito di bombardare la diga e lo stesso ex presidente Morsi aveva assicurato che «tutte le opzioni sono sul tavolo». In quell’occasione si è parlato anche del possibile finanziamento alle opposizioni al regime di Meles Zenawi prima e Girma Giorgis ora. Dopo il golpe del 3 luglio scorso, sono in corso nuovi negoziati con l’inviato del Cairo, l’ex ambasciatore dell’era Hosni Mubarak, Mona Omar.
A suscitare le polemiche in Egitto era stata la ratifica da parte del parlamento etiope dell’Accordo quadro di cooperazione sull’accesso alle risorse idriche del Nilo (2010). Il testo abroga l’accordo coloniale del 1929 con la Gran Bretagna che garantiva ad Egitto e Sudan l’uso di gran parte delle acque del fiume, impedendo agli altri paesi bagnati dal Nilo di attuare progetti di irrigazione e per lo sfruttamento dell’energia idroelettrica senza l’approvazione egiziana. Hanno aderito al nuovo Accordo del 2010 Etiopia, Burundi, Kenya, Rwanda, Tanzania, Uganda e Sud Sudan. Ma ovviamente Egitto e Sudan hanno negato il loro assenso, ancora legati all’accordo del 1959, quando Cairo e Khartoum si sono spartite le acque del Nilo, acquisendo il diritto a controllarne oltre il 70% (55 milioni di metri cubi su 74).

Il nuovo Nilo, secondo il Cairo
Ad Aswan, la piazza della Fermata (Mohatta) è stata per settimana piena di islamisti che hanno occupato il centro della città per chiedere il ritorno di Morsi. Il magnifico lungo Nilo è vuoto e le feluche ormeggiano nei piccoli porti. Nessun turista viene da queste parti da mesi. Ma la vita del centro prosegue viva.
Visitiamo l’immensa diga, costruita per volontà di Gamal Abdel Nasser tra il 1964 e il 1970 per proteggere il paese dalle inondazioni e stabilizzare la produzione agricola. A ricordare l’ evento straordinario ci pensa il monumento all’amicizia tra Egitto e Unione sovietica, che finanziò l’opera. I lotti, dove vivevano gli ingegneri sovietici che hanno costruito l’immensa muraglia, sono nel quartiere Sahary e sono ora abitati da egiziani. Tre foglie di loto culminano in una ruota, mentre spiccano le scritte in cirillico e il simbolo della falce e il martello, accostato alle sagome di Gamal Abdel Nasser e Anwar al-Sadat. Non si può più salire in cima perché cinque stranieri, tra cui uno svedese, arrivati al punto più alto con un ascensore, hanno deciso di volare per un sicuro suicidio. «Questa diga è la vittoria dell’uomo sulla natura»: recita la scritta. E a vedere l’immensa opera in granito viene da pensare che in quelle parole c’è qualcosa di vero. L’isola di File sorge tra la vecchia Diga (del 1902) e l’Alta diga. Mentre sull’isolotto una portaerei è pronta ad intercettare ogni attacco a questo immenso luogo sensibile. C’è un piccolo porto poi da cui partono navi passeggeri per il Sudan.

Le 12 turbine dell’Alta diga di Aswan lavorano metà per generare elettricità (22% del fabbisogno nazionale) e metà per l’irrigazione agricola, per una produzione totale di circa 2 mila Mw l’anno. Il lago Nasser di 5200 km/2 serve da bacino idrico, e contiene l’acqua in eccesso che viene usata per l’irrigazione dei campi. Ma l’Alta diga non è stata immune da effetti estremamente invasivi sul territorio che hanno causato prima di tutto l’aumento della salinità dell’acqua e una diminuzione della fertilità del terreno. Ma ancora di più ha provocato lo spostamento forzato di decine di migliaia di nubiani. I nubiani, principalmente contadini, spesso integrati nel tessuto sociale, vivono ora nei quartieri Gharb Sehail e Nasser el-Noba nel centro di Aswan. Anche qui si è formato un movimento di opposizione alla stesura della nuova Costituzione, approvata nel dicembre scorso e poi sospesa dopo il colpo di stato. Chiedevano che il nubiano venisse riconosciuto come seconda lingua di stato e fosse insegnata nelle scuole. Ma non hanno ottenuto neppure questo.

L’esperto Alaa El-Zawahry, che fa parte del comitato tripartito, sostiene che il progetto etiope non segue le norme procedurali. Secondo Zawahry se l’Etiopia procedesse con la costruzione della diga della Rinascita, le acque del Nilo nelle disponibilità egiziane diminuirebbero da 55 milioni di metri cubi a 40, impedendo all’Alta diga di Aswan di produrre energia elettrica. E di conseguenza le terre coltivabili in Egitto diminuirebbero del 30%. Non solo, secondo l’Istituto di Statistiche nazionale, l’Egitto richiederà una quantità aggiuntiva di 21 miliardi di metri cubi di acqua nei prossimi anni, come conseguenza dell’atteso aumento demografico. Ma non tutti concordano con questa versione. «Che con Gibe III diminuisca drasticamente la disponibilità dell’acqua del Nilo in Egitto è una forzatura dei media» – inizia l’ingegnerie Mohammed Lashin, ricercatore dell’Aswan Power Electronics Research Centre. «Anche la diga etiope, oltre il doppio dell’Alta diga di Aswan, servirà per uso agricolo – prosegue il ricercatore – Per questo deve essere costruito un bacino di 2 milioni di metri cubi di volume, il doppio del nostro lago Nasser. Se dovessero raccogliere quest’acqua in soli 4 anni, provocherebbero una diminuzione della produzione di elettricità dell’Alta diga pari al 40% (dal 22 passerebbe al 13%). Lo stesso succederebbe con la centrale di Shubra. Ma se questo periodo si dilatasse in 10 anni l’impatto sarebbe minore. Il vero problema è che l’ex presidente Mubarak trattava gli etiopi senza rispetto e questo li ha spinti a progettare la diga non negoziando con gli egiziani. Mentre Morsi ha perso tutta la sua credibilità mostrandosi incapace di gestire la crisi con Addis Abeba», conclude Lashin.

Dall’altro lato del fiume, i problemi da affrontare sono simili. Abbiamo discusso all’Università di Addis Abeba con alcuni esperti, coinvolti nel progetto Gibe III. «Le polemiche egiziane sono del tutto infondate», ci spiega il professore di Ingegneria civile dell’Università di Addis Abeba, Yilma Seleshi. «L’Etiopia ha gravi problemi di corrente elettrica. La nuova centrale idroelettrica è importante per lo sviluppo del paese, porterà ad un incremento nella disponibilità di energia di 5250 Mw», ha aggiunto. «Il progetto della diga Gibe III prevede la formazione di un lago artificiale dalla superficie quadrupla rispetto al lago Nasser in Egitto», ammette Yilma Seleshi. Nei progetti etiopi si prevede la possibilità che il governo di Addis Abeba venda energia a Sudan, Uganda e paesi vicini. Secondo l’ingegnere Saleshi il progetto della diga porterà così vantaggi anche agli altri paesi della regione. «Nel lago Nasser in Egitto non piove mai, ma si produce energia grazie all’evaporazione delle acque. In Etiopia si può contare invece sia sulle piogge che sull’evaporazione», commenta Seleshi. E così, questo progetto potrebbe dare un respiro di sollievo ad un paese in cui un terzo della popolazione vive sotto la soglia di povertà e il cui reddito pro capite è di appena 900 euro l’anno.
La distruzione della Valle dell’Omo
Ma Gibe III non convince tutti in Etiopia. Per le tribù della Valle dell’Omo, circa 200mila persone, dove sorgerà la Diga, iniziano tempi duri. Secondo esperti e antropologi, non sono state effettuate adeguate valutazioni di impatto ambientale e sociale prima della costruzione dell’opera. Per esempio, Marco Bassi, antropologo dell’Università di Oxford, che ha visitato le aree che coinvolgono il progetto secondo le mappe ufficiali, ammette: «Non sono segnati i villaggi esistenti, non si traccia in modo preciso la distinzione tra zone agricole e selvatiche mentre quelle a pascolo non sono nemmeno indicate. Le tribù dei Kara e dei Kwegu che vivono lungo il corso del fiume sono condannate all’estinzione e anche tutte le altre che abitano sul Delta vedranno compromesse le loro fonti di sostentamento».
Per questo la think tank Survival International (http://www.survival.it/popoli/valleomo) ha lanciato una campagna per la salvaguardia della Valle dell’Omo e per la sospensione dei lavori di costruzione della diga Gibe III. Su questo concorda anche uno studio di International River che afferma: «Gli agricoltori locali piantano le colture lungo le rive del Nilo dopo ogni piena annuale. Queste ridanno vita ai pascoli per il bestiame e segnano l’inizio della migrazione dei pesci. Se non si fermeranno i lavori, la diga provocherà carestie croniche, e un generale disfacimento dell’economia della regione». Non solo, una volta conclusa l’opera, lo scopo del governo etiope è di affittare le terre (120mila ettari) ad aziende e multinazionali straniere.

«Aiuti» di Stato
Per questo, l’ex vice ministro degli Esteri egiziano Magdi Amer ha puntato il dito contro l’assenza di informazioni esaurienti da parte delle autorità etiopi sugli studi di impatto ambientale del progetto della Grande diga Gibe III. Amer ha parlato di un possibile crollo per la conformazione del suolo e ha sottolineato la necessità di non avere fretta nella realizzazione del progetto. E sulla fattibilità di Gibe III entra in gioco l’Italia. Per Gibe II (una galleria di 27 km che per produrre energia sfrutta la differenza di quota tra il bacino di Gibe I e il letto del fiume Omo più a valle) non sono stati d’ostacolo i pareri negativi di diversi uffici ministeriali italiani, così il governo ha concesso un credito di 220 milioni di euro ai costruttori Salini. Nel febbraio 2010 la galleria Gibe II è crollata (questo spiega il negato finanziamento di Bei al progetto Gibe III), pochi mesi dopo la visita dell’allora ministro degli Esteri Franco Frattini ad Addis Abeba per inaugurarla. Senza una gara di appalto pubblica, nonostante il crollo del 2010 e in assenza di una valutazione di impatto ambientale, sono di nuovo i Salini Costruttori ad essere assegnatari del progetto Gibe III. Abbiamo più volte tentato di incontrare i dirigenti dei Salini ad Addis Abeba e a Roma, ma si sono sempre rifiutati di parlare dei rischi del progetto e delle responsabilità nel crollo del 2010. Tuttavia, in una rara intervista, dopo l’approvazione del progetto etiope, i Salini hanno commentato: «Abbiamo previsto rilasci d’acqua controllati a beneficio dell’agricoltura e progettato l’invaso in modo che si riempia a una velocità compatibile con la quantità delle piogge. Questa è un’occasione per trasformare l’Etiopia in un esportatore di energia, se l’Italia non farà la sua parte la faranno i cinesi, che si sono già aggiudicati la costruzione della diga Gibe IV».

Dalle magnifiche acque del Nilo, ora vuote di turisti timorosi di venire in Egitto per la crisi politica, sono sorte leggende e civiltà. Il progetto della Diga della Rinascita riapre antichi scontri e capitoli oscuri. Da una parte, offre nuove possibilità di progresso, dall’altra, mette a rischio un’intera valle. Non solo, definisce nuove relazioni post-coloniali tra i principali paesi del Nord e del Corno d’Africa; smaschera decenni di vantaggi garantiti ad Egitto e Sudan che hanno gravemente impoverito l’economia etiope; infine coinvolge anche l’Italia e chiarisce come i governi italiani abbiano trasformato aiuti ai paesi in via di sviluppo in sovvenzioni alle aziende italiane, senza il necessario rispetto per lo sviluppo locale. Da oltre un secolo l’Egitto ha aspirazioni pan-africane. Dal Nilo riparte il riscatto del continente e il Paese non può lasciarselo sfuggire.