Ho investito quasi 12 ore di treni a bassa velocità per andare e venire domenica e lunedì da Roma (anzi Mentana) a Genova. Non volevo rinunciare al voto per le elezioni comunali, essendo ancora residente nella mia città natale.

L’ultima volta che ho votato, nel 2015, non è certo servito a sventare la vittoria regionale del centrodestra guidato da Giovanni Toti, il maggior teorico in Forza Italia dell’alleanza con Salvini. Il presidente forzista della Liguria tenta ora di estendere la formula al capoluogo, ben consapevole del valore simbolico che rivestirebbe una affermazione della destra unita nella città che conserva la fama di bastione sociale e culturale della sinistra. A Genova rimangono appiccicati nelle cronache giornalistiche che ogni tanto se ne occupano certi stereotipi duri a morire.

La città dei camalli (da molti anni però ridotti a poche centinaia) e del Ponente industriale. Ma anche qui ciò che resta della ex Italsider, oggi Ilva, o dei giganti dell’Ansaldo, è una piccola frazione delle decine e decine di migliaia di operai che fino ai primi anni ’80 connotavano fortemente il tessuto sociale e politico di uno dei vertici del Triangolo Industriale.

La memoria però conta, e da vecchio genovese persino un po’ operaista mi scoccerebbe molto veder prevalere proprio qui un imprenditore sostenuto dai leghisti, che sono oggi il terzo partito della città, dopo un Pd ridotto a uno scarso 20 per cento e i grillini retrocessi al 18.

Quindi ho voluto mettere la mia crocetta a favore di Gianni Crivello, un uomo, un amico (e un coetaneo) che da quella Genova popolare dei quartieri a Ponente proviene, e che non ha mai dismesso una sua indipendenza di giudizio e di schieramento a sinistra, oltre a essere giudicato da molti un bravo amministratore nella giunta uscente del sindaco Marco Doria.
Ho scoperto domenica sera che molti miei concittadini hanno avuto una reazione del tutto opposta. Se ne sono stati tranquillamente a casa, o al mare, facendo registrare la percentuale più alta di astensione. Credo che si debbano comprendere.

La sinistra e il Pd non hanno certo brillato in questi anni. Le divisioni acute dentro e fuori il partito di Renzi hanno favorito nel 2015 la vittoria di Toti e hanno reso estremamente difficoltoso il governo della città alla giunta Doria, che all’inizio aveva suscitato un moto di partecipazione. D’altra parte chi aveva creduto nell’alternativa aperta dal concittadino Grillo ha avuto, proprio a Genova, più di un motivo per ricredersi. E per decidere di restare alla finestra. Ma poi, in fondo, non farebbe bene alle varie anime della sinistra se, dopo tanti anni, si perdesse almeno un giro nel rapporto col potere amministrativo?

C’è però una – piccola? – novità. Chi ha abbandonato il Pd seguendo la decisione di Bersani e D’Alema, diversamente da quanto scelse di fare Cofferati, non ha rinunciato a una ricerca unitaria a sostegno di Crivello, e per il rilancio di una coalizione che anche da un più stretto legame con la ricca realtà associativa della città potrebbe trarre qualche nuova ispirazione.

Non è mancata la parte della sinistra che al primo turno ha preferito invece restare distinta, votando per l’ex grillino Putti, o per il «Partito comunista dei lavoratori». Chissà se anche questi elettori al secondo turno preferiranno astenersi.

O se l’idea che una coalizione egemonizzata dalla Lega possa vincere non indurrà a una reazione lo spirito aperto, laico e solidale della città.