La trattativa è sempre sul filo del rasoio. Però da ieri governo e sindacati sembrano giocare nella stessa squadra. A due giorni dall’occupazione dell’autostrada a Orte, i lavoratori della Ast Terni registrano un altro piccolo successo nella loro ormai lunga battaglia. Giunti al 24esimo giorno di sciopero, gli operai delle Acciaierie speciali Terni sono sotto il ministero di via Molise per la terza volta dopo le manganellate. Sono in una trentina, arrivati in treno o con le loro macchine. «La voglia di lottare è immutata – racconta Pietro, operaio alla movimentazione – e comunque è sempre maggiore della stanchezza».

È solo grazie alla loro determinazione che Lucia Morselli non ha ancora vinto. L’amministratrice delegata non si immaginava una resistenza simile: dopo averli colpiti a luglio con un piano che prevedeva 550 esuberi su 2.200 dipendenti, li ha messi in ferie forzate tre settimane ad agosto, ne ha «comprati» 150 a settembre e ottobre promettendo una buona uscita da 80mila euro lordi – 60 mila netti – e da settimane cerca di provocarli in tutte le maniere – la visita notturna al presidio di viale Brin, la saldatura degli ingressi per non permettere le assemblee all’interno dell’acciaieria – per passare per «martire» e fiaccare la loro resistenza. Ma niente. Loro, imperterriti, vanno avanti. Nonostante uno stipendio già decurtato di giornate di sciopero e dal taglio di tutti gli integrativi. Nonostante il governo la appoggiasse nella richiesta di sospendere almeno lo sciopero.

Ieri anche la moderatissima Federica Guidi ha appoggiato la richiesta dei sindacati di un nuovo piano industriale che sgombri il campo dall’ipotesi di spegnere uno dei due forni. «Ha chiesto alla Morselli di presentare un piano su 4 anni con verifiche semestrali e non biennale con la possibilità di spegnere il secondo forno se le cose vanno male», spiega Rosario Rappa, segretario nazionale manganellato della Fiom Cgil.

Ma l’osso è ancora durissimo. E le possibilità che cambi veramente registro – nero su bianco – sono poche. E affidate alla riunione di lunedì a Monaco di Baviera. Lì si incontreranno i sindacati tedeschi, italiani e mondiali – Ig Metall, Fim, Fiom, Uilm, Ugl e IndustriAll – con il board di Thyssen, la proprietà tedesca che voleva dismettere Terni dopo essersela vista riappioppare dall’antitrust europeo che ha bloccato la vendita ai finlandesi di Outukumpu per posizione continentale dominante nell’inox. Quel giorno i sindacati sperano di spiegare ai tedeschi che il governo italiano dà garanzie sufficienti – taglio del costo dell’energia da 54 a 36 euro al chilowattora, incentivi regionali all’innovazione tecnologica – per mantenere la produzione a Terni.
Solo in questo modo- facendo sfiduciare ai tedeschi la Morselli – martedì al nuovo tavolo al ministero dello Sviluppo si potranno fare passi avanti e avvicinarsi ad un accordo che metta fine al presidio e allo sciopero a viale Brin. Il giorno dopo sono già convocate le nuove assemblee dei lavoratori. Compresi quelli dell’Ilserv, quelli dell’indotto già in gran parte in cassa integrazione per due anni.

Nel frattempo Morselli continua nella sua opera. Ieri ha diramato un comunicato in cui preannucia ritardo per lo stipendio di novembre: «Il pagamento richiederà il lavoro di alcune settimane da parte del personale dell’amministrazione, a partire dal suo rientro al lavoro». Un altro ricatto.