Sbagliando s’impara. La fine ingloriosa delle Acciaierie di Piombino sembra aver insegnato qualcosa ai lavoratori e ai delegati sindacali dell’Ast di Terni, sempre più convinti che Thyssen Krupp li stia prendendo per i fondelli. Così, nel giorno dell’ennesima, estenuante e sterile discussione al ministero dello sviluppo economico, al mattino la Cgil locale scopre che entrambi i forni fusori della fabbrica sono stati spenti (“per manutenzione programmata….”). E con il segretario Attilio Romanelli avverte: “Lo stabilimento non deve ridursi ad essere un reparto di laminazione a freddo. Non è possibile firmare un accordo che presupporrebbe la fine della Terni industriale e di un sito strategico per la siderurgia italiana”. In parallelo si fa sentire il segretario generale umbro Mario Bravi: “Vogliamo essere molto chiari: se il governo continuerà ad appiattirsi sulla linea della Thyssen Krupp, che pensa soltanto a come ridurre i costi tagliando il lavoro e le produzioni, noi siamo pronti ad affiancare i lavoratori di Terni nelle forme di mobilitazione che loro decideranno di mettere in atto. Fino all’occupazione della fabbrica”. Il duplice avviso ai naviganti – triplice, considerando le analoghe parole di Maurizio Landini intervistato il giorno prima – blocca le mediazioni al ribasso. E in quello che doveva essere l’incontro decisivo, sul futuro di uno stabilimento che dà lavoro a 2.700 addetti diretti e altrettanti nell’indotto, un governo sempre più in difficoltà chiede di rinviare tutto per altre 24 ore.

A cosa servano alla ministra Federica Guidi i minuti di recupero, quando per tutta la partita durata un mese la multinazionale tedesca non ha fatto la benché minima concessione rispetto al (non) piano industriale dello scorso luglio, resta un mistero. Per certo, nei giorni scorsi l’entourage della presidenza del consiglio aveva fatto sapere che Matteo Renzi si stava impegnando per arrivare a una soluzione positiva della vertenza. Ma l’unica dichiarazione ufficiale era arrivata da Thyssen Krupp. Ed era tutto fuorché accomodante: “Acciaierie Speciali Terni, visto che non è stato possibile raggiungere un accordo sulla conduzione comune della ristrutturazione, valuterà ora la possibilità di avviare una ulteriore fase di negoziati nell’ambito di una nuova procedura di mobilità. Questa procedura prevede una serie di incontri in sede sindacale e ministeriale della durata di circa tre mesi”.

La multinazionale cercava addirittura di mostrare di essere stata disponibile ad un accordo: “Rispetto a quanto proposto nella formulazione iniziale del piano, e con l’obiettivo di mitigare gli effetti negativi sull’occupazione, Ast ha proposto una forte riduzione del numero di esuberi inizialmente previsti, a fronte di un contenimento generale delle retribuzioni medie”. Traduzione: invece di licenziare 550 operai, ne mandiamo a casa “solo” 290. In cambio voi lavoratori dovete rinunciare all’integrativo, ai soldi degli straordinari, e a quelli del lavoro nei giorni festivi. Quanto alla vostra proposta di contratti di solidarietà, o del vostro piano per risparmiare sulle materie prime e sull’energia per ottenere i risparmi previsti senza andare a toccare gli impianti, i volumi produttivi e l’occupazione in fabbrica, proprio non se ne parla.

Di fronte ad un simile atteggiamento, anche la presidente umbra Catiuscia Marini fa due più due: “In questo mese i lavoratori e i sindacati hanno fatto passi avanti. L’azienda no”. E da Strasburgo si fa sentire l’altro dem David Sassoli: “Ast ha il dovere di rispettare gli accordi assunti in Europa su investimenti e obiettivi strategici. Invece sembra voler puntare solo al taglio del personale, mentre deve promuovere un piano industriale per un’azienda di qualità, tutt’altro che decotta, che non può subire ulteriori ridimensionamenti”. A sera la Uilm con Mario Ghini tira le somme della giornata: “Spero che domani il governo metta sul tavolo qualcosa, altrimenti abbiamo solo spostato di 24 ore la conclusione negativa dell’accordo”.