Bamba, 23 anni, è arrivato in Sardegna dal Senegal. Tra i suoi compagni di viaggio è uno dei pochi fortunati ad aver trovato, dopo alcune settimane in un centro di accoglienza, un lavoro. Assunto a tempo indeterminato in unmegastore gestito da una ditta cinese che si chiama Bricocina, nella periferia Nord di Sassari. Tutto sembrava andare dunque nel migliore dei modi.

Poi, però, Bamba ha chiesto le ferie estive. E lì, suo malgrado, è diventato il protagonista di una storia che mette insieme discriminazione su base etnica e violazione dei più elementari diritti del lavoro. «Quando sono andato a chiedere qualche giorno di riposo per poter tornare in Africa – ha raccontato Bamba alla Nuova Sardegna – mi sono sentito dire: «Soltanto gli italiani hanno ferie. Per senegalesi, cinesi, bengalesi, filippini non si può fare lo stesso trattamento. Se vuoi le ferie, la tredicesima e la quattordicesima puoi provare a rivolgerti da un’altra parte». Bamba non ha chinato la testa. Insieme ad altri tre dipendenti di Bricocina, tutti senegalesi, si è rivolto al sindacato Cisal. «Questi ragazzi – spiega il sindacalista Nino Fiori – hanno svelato una situazione di assoluto sfruttamento. Da parte dei datori cinesi, nessun rispetto per gli orari di lavoro definiti dal contratto, niente ferie e malattie. Reclutano manovalanza senza tutele sindacali, in modo da imporre le loro regole. Abbiamo raccolto le testimonianze e li abbiamo messi in contatto con l’Ispettorato del lavoro». Il direttore dell’Ispettorato conferma: «L’indagine è ancora in corso, a breve contiamo di concluderla e di adottare i dovuti provvedimenti. Abbiamo riscontrato violazioni delle norme contrattuali e uno scenario di sfruttamento del lavoro».

«Ho iniziato come factotum – ha spiegato Bamba sempre alla Nuova Sardegna – poi sono diventato cassiere e infine sono stato promosso a caporeparto. Assunto a tempo indeterminato, 800 euro al mese. Tutto è filato liscio finché ho lavorato, a testa bassa e senza fiatare, dodici ore al giorno nonostante il mio contratto di ore ne prevedesse solo otto. Quando però, volendo tornare in Senegal per rivedere i miei familiari, ho provato a chiedere il mese di ferie che mi spettava, la risposta del mio capo è stata sconcertante: ferie solo per gli italiani». Dopo la denuncia fatta a febbraio, ha raccontato ancora Bamba, la situazione è cambiata: le ore settimanali sono diventate 40 «e non ci è stato più chiesto di stare lì per dodici ore a fare qualunque cosa, dal cassiere, al magazziniere all’addetto alle pulizie. Però, improvvisamente, sono entrato nella lista dei cattivi e sono stato demansionato: in chat il mio capo mi ha informato che non ero più caporeparto».

Una situazione di tensione tra azienda e dipendenti sfociata l’11 agosto nella consegna di una raccomandata che comunicava il licenziamento «per giusta causa» a tutti coloro che si erano rivolti al sindacato e all’Ispettorato. «Veniamo accusati – spiega Bamba – di improduttività, di incompetenza, di danneggiare la merce, di non pulire. Ma come? Il giorno prima della denuncia sono talmente bravo che mi promuovi caporeparto e poi improvvisamente divento uno che non sa fare il proprio lavoro?».

L’Ispettorato del lavoro, oltre a chiedere il reintegro dei dipendenti di Bricocina licenziati, potrebbe effettuare un monitoraggio per capire quanto siano diffuse, almeno a Sassari, le violazioni di legge. Soltanto così il coraggio di Bamba e dei suoi compagni non sarà stato inutile.