La conferma alla Corte d’Appello di Milano è arrivata solo ieri mattina. I siti internet già strillavano la notizia che il Corriere della Sera aveva in esclusiva: Enrico Tranfa, il presidente della seconda sezione penale dell’Appello, si è dimesso con quindici mesi di anticipo dalla magistratura. Lo ha fatto un minuto dopo aver firmato la sentenza con la quale Silvio Berlusconi è stato assolto con formula piena dall’accusa di prostituzione minorile e concussione nel processo Ruby. Al termina del quale, in primo grado, gli era piovuta sul collo una condanna a 7 anni di carcere, cancellata in secondo grado con il corollario di un addio evidentemente polemico.

Nelle prime ore di ieri, a commento dello scoop del Corriere, Tranfa si limita a rispondere brevemente all’agenzia Ansa. «In tutta la mia vita non ho fatto mai nulla d’impulso». Dice. E aggiunge: «Nessuno è indispensabile e tutti possono essere utili. Ho dato le mie dimissioni, punto. Ognuno pensi qual che vuole». Poco dopo dal suo ex ufficio partivano le verifiche con l’Inps. Tutto vero: il magistrato ha deciso di andare in pensione in anticipo. E l’ha fatto dopo aver firmato, da presidente, le motivazione dell’assoluzione. Oltre trecento pagine depositate giovedì mattina in cancelleria, che chiudono per il momento il caso Ruby, ridimensionando il potere intimidatorio della famosa telefonata con la quale Berlusconi ottenne la liberazione della minorenne dalla questura di Milano. Dall’ex Cavaliere nessuna minaccia, a far consegnare la giovane alla consigliera regionale Pdl Nicole Minetti non fu l’ordine di Berlusconi ma il «timore reverenziale» del capo di gabinetto della questura, Pietro Ostuni. Caduta così l’accusa principale di concussione, Berlusconi ha scansato anche il reato di induzione alla prostituzione minorile perché secondo i giudici dell’appello «non conosceva l’età di Ruby».

In calce a queste motivazioni ci sono le tre firme dei giudici del collegio. Quella del presidente Tranfa è obbligatoria per la validità degli atti, mentre i giudici a latere possono segnalare il loro dissenso non firmando o depositando in maniera segreta un’opinione dissenziente. Tranfa così ha firmato, ma si è dimesso un attimo dopo. A testimonianza di uno scontro in camera di Consiglio nel quale risultano aver prevalso i giudici Concetta Lo Curto e Alberto Puccinelli.
La vicenda ha immediatamente scatenato reazioni politiche. La vicepresidente del Pd Sandra Zampa ha espresso «solidarietà e un profondo senso di vicinanza nei riguardi del giudice Tranfa che lascia la toga con un gesto fermo e dignitoso. La sentenza di assoluzione per il caso Ruby, minorenne al momento dei suoi rapporti con un adulto potente, quale Berlusconi, evidenzia tutte le falle di una giustizia che non riesce a tutelare i più deboli». Mentre il presidente della commissione giustizia del senato, il berlusconiano Francesco Nitto Palma, «le dimissioni del giudice Tranfa drammatizzano un accadimento assolutamente normale come il dissenso, peraltro nel caso di specie non espresso nelle forme di legge, e dimostrano, ove ve ne fosse bisogno, quanta importanza aveva e ha per certa magistratura la condanna del presidente Berlusconi». E se la senatrice Pd Donatella Mattesini fa arrivare «solidarietà e rispetto» al giudice, il deputato di Forza Italia Luca D’Alessandro sostiene che «ai tempi di D’Alema, Violante, Prodi e anche Bersani, il giudice relatore che si è dimesso dalla magistratura per protesta contro l’assoluzione di Berlusconi, decisa democraticamente a maggioranza, avrebbe avuto un posto blindato in parlamento, forse anche ai vertici delle istituzioni (magari la presidenza del senato o un posto alla Consulta per nomina presidenziale). Ci piacerebbe pensare che nell’epoca di Renzi la vicenda possa avere un epilogo diverso». Eppure c’è subito un deputato, Roberto Cappelli di Centro democratico, che propone al Pd di scegliere Tranfa per la Corte Costituzionale, dato che «ha dimostrato un rigore morale, una saldezza di principi, un senso dello stato e una dignità tanto rari di questi tempi quanto preziosi».