Serpeggia delusione tra le associazioni di donne che si occupano di femminicidio riguardo ai fondi annunciati in pompa magna dalla ministra alle Pari opportunità Maria Elena Boschi in questi giorni. Nessuno vuole far saltare il tavolo che, dopo due anni di totale assenza, la ministra ha finalmente attivato a fine settembre. Ma i soldi apparecchiati sono ancora pochi e l’impianto dei due decreti appena approvati dalla Conferenza Stato-Regioni, carente.

«Il buco nero dei fondi antiviolenza», titola il sito di Ingenere e fa notare che i 32 milioni in un biennio con cui è stata rifinanziata la legge 119, pur essendo un raddoppio rispetto al biennio 2013-2014, sono sottostimati, sia considerando che in Italia un centro antiviolenza costa circa 300.000 all’anno, sia prendendo in esame il parametro stabilito dalla Convenzione di Istanbul di un centro antiviolenza ogni 10 mila abitanti, sia infine considerando che in Spagna solo per il 2016 lo stanziamento era di o 22,5 milioni, e che « le spagnole protestano perché nel 2006 il fondo era di 34 milioni».

Vittoria Tola responsabile nazionale dell’Udi, l’Unione donne in Italia, dice chiaramente che i finanziamenti recentemente stanziati arrivano «in ritardo e in quantità non adeguata ai bisogni». Ma soprattutto è il come che non risulta adeguato: «manca una priorità nell’azione di governo che renda gli interventi sistemici». Prevenzione e formazione degli operatori (dalla polizia alla sanità alla magistratura) restano i settori meno sostenuti, se si considera che per la scuola vengono stanziati solo 4 milioni in due anni e nessun intervento viene pensato per l’università.
L’approccio femminista nella gestione dei servizi e dei centri antiviolenza rifugge inoltre da una logica assistenziale e iper-istituzionalizzata in cui la donna viene trattata come vittima passiva e malata e che injvece spesso (come spiegato nello speciale «Corpo del Delitto» allegato al manifesto) viene preferito nei bandi regionali e comunali. «Questi fondi erano dovuti, già previsti dal piano antiviolenza che scadrà a giugno – spiega Vittoria Tola – ora aspettiamo il nuovo piano, che deve basarsi su una rete di servizi integrati nei territori».

Le promotrici della manifestazione di oggi e dell’assemblea nazionale di domani con cui si vuole, appunto, elaborare un piano antiviolenza dal basso, insistono sul fatto che il problema non è solo il quantum.

Andrea Orlando, ministro della Giustizia, ieri ad un convegno in Cassazione sul femminicidio ha ammesso come ci sia «ancora molto da fare» e di come il problema sia «culturale», sia sul trattamento dei detenuti per evitare recidive (non è previsto nessun trattamento specifico, conferma Antonella Paloscia del Dap) sia sul monitoraggio delle situazioni a rischio per far emergere i casi di violenza domestica nascosti, taciuti o sottovalutati. Per Orlando il nodo sta nel fatto che non esiste un reato o un’aggravante specifica.

Vittoria Tola contesta l’impostazione: «È un problema di cultura giuridica e quindi formazione dei magistrati, neanche il matrimonio forzato da noi è un reato ad hoc ma non per questo non si persegue». r. g.