La nave di Open Arms è ferma nel porto da molte settimane. Il confinamento ha colto la ong catalana in piena fase di ristrutturazione della sua imbarcazione di salvataggio marittimo. Ma Òscar Camps e i suoi non sanno stare con le mani in mano. E già dai primi di aprile avevano contattato le istituzioni catalane per collaborare in quello che è diventata la loro specialità: «proteggere la vita dei più vulnerabili», come spiegano nella loro nota stampa. «Ci mettiamo al servizio della scienza per poter aiutare a salvare il maggior numero di vite, le più vulnerabili, questa volta a terra, e così contribuire a frenare una pandemia senza precedenti con effetti devastatori su un determinato settore della popolazione».

Concretamente, l’azione di una cinquantina di volontari di Open Arms si è concentrata su due fronti: da un lato, sostenere il governo catalano e il clinical trial lanciato da Oriol Mitjà e Bonaventura Clotet, due medici diventati star mediatiche locali e efficaci procacciatori di fondi per la ricerca, e dalla Fondazione lotta contro l’Aids (presieduta dallo stesso Clotet); dall’altro, aiutare il comune di Barcellona.

Nel primo caso, il compito che Open Arms ha svolto è stato quello di aiutare nella realizzazione di test e tamponi e nella distribuzione della cura sperimentale che Mitjà e Clotet stanno studiando con grande appoggio istituzionale da parte del governo catalano, del cui presidente, Quim Torra, Mitjà è diventato consulente in piena pandemia e in polemica con le persone che erano già preposte alla gestione dell’emergenza sanitaria. Alla base del trial clinico, i cui risultati erano stati promessi per il mese scorso, ma ancora non sono stati svelati, c’è l’idea di usare un trattamento antivirale (chiamato Darunavir) utilizzato come trattamento post esposizione per l’Hiv in tutte quelle persone che danno positivo ai test PCR – cioè che hanno in corso l’infezione da Covid-19. E di somministrare idroclorochina, un farmaco usato per trattare la malaria, ai loro contatti per cercare di fermare il contagio. Come spiegavamo su queste pagine, né l’uno né l’altro farmaco hanno finora dato risultati incoraggianti in altri trial nel mondo, ma questo non ha impedito ai due medici di riuscire a ricavare ben 2 milioni e 200mila euro da una campagna di raccolta fondi (con l’hashtag #yomecorono) a favore della ricerca. Mitjà, prima di cambiare ambito di ricerca e di convertirsi in scienziato simbolo degli esponenti indipendentisti del governo catalano, aveva lavorato con successo identificando su una remota isola della Papua Nuova Guinea una cura efficace per una malattia dimenticata e invalidante, chiamata yaws, che gli aveva meritato una copertina sulla rivista scientifica Science.

Il secondo ambito di azione di Open Arms è stato quello di appoggiare il Comune di Barcellona nel suo sforzo di proteggere le residenze degli anziani della capitale catalana, particolarmente colpite dal virus (e che il governo catalano, che ne detiene la responsabilità, ha trascurato per molte settimane). Il comune era intervenuto per mettere a disposizione della Generalitat una serie di infrastrutture per trasferire gli anziani e proteggerli dal contagio. I volontari della ong hanno dapprima aiutato il comune a trasportare gli anziani, e nelle ultime settimane si sono dedicati a far visita, in squadre di due, alle persone in quarantena a casa, soprattutto le più fragili, per portar loro cibo, medicinali, mascherine e portar via i rifiuti, e aiutarli a mantenere l’isolamento.

Molti dei volontari e delle volontarie che si sono imbarcati sull’Open Arms sono anche lavoratori sanitari: quindi in un certo senso in queste settimane sono stati anche in prima linea negli ospedali a gestire l’emergenza.