In tv Antonello Nicosia parlava di legalità e diritti fregiandosi di appartenere ai Radicali italiani, poi, a microfoni spenti ma a microspie accese, bollava Falcone e Borsellino come delle «merde», «vittime di incidenti sul lavoro». Col tesserino di collaboratore parlamentare, ottenuto come assistente della deputata Giuseppina Occhionero (eletta con Leu e ora a Italia Viva), Nicosia entrava e usciva come meglio credeva da Montecitorio, intrattenendo rapporti con gli ambienti politici e partecipando a kermesse di partito: l’ultima sua apparizione alla Leopolda di Renzi. In realtà la sua ammirazione, come emerge dai brogliacci delle intercettazioni, era tutta per Matteo Messina Denaro: «Il nostro primo ministro», lo definiva.

PARLAVA a ruota libera, Antonello Nicosia, 48 anni di Sciacca (Agrigento): nonostante predicasse agli altri la massima accortezza per evitare di essere intercettati, sono state proprio le microspie piazzate dal Gico e dal Ros a incastrarlo e a rivelarne il vero volto. Per la Dda di Palermo, che ha coordinato l’indagine, Nicosia, arrestato con l’accusa di associazione mafiosa assieme ad altre 4 persone, avrebbe fatto da trait d’union tra i detenuti in carcere e i boss che fuori controllano i traffici di Cosa nostra.

Grazie alla collaborazione con la deputata Occhionero, che sarà a breve ascoltata dai pm, quest’insospettabile aveva accesso facile nelle carceri, facendo poi da postino tra i mafiosi detenuti e l’esterno. La deputata (avvocata molisana) non risulta indagata: per gli investigatori il collaboratore avrebbe agito a sua insaputa, ma sono tanti gli aspetti di questa storia ancora da chiarire. Perché questo pedagogista che nel suo curriculum scriveva di essere un docente dell’Università della California e di insegnare «lo sbarco anglo americano e la storia della mafia», in verità, sostiene la Dda, sarebbe «pienamente inserito in Cosa nostra», legatissimo al boss di Sciacca Accursio Dimino, col quale progettava danneggiamenti, estorsioni e omicidi e anche lui arrestato.

LE INTERCETTAZIONI rivelano un personaggio spavaldo: lui stesso alla Occhionero manifestava le sue simpatie per Matteo Messina Denaro: «Noi preghiamo San Matteo. San Matteo proteggici. Mai contro a San Matteo», le diceva non sapendo di essere intercettato.
Grazie al rapporto con la deputata, Nicosia ha incontrato boss detenuti al 41 bis, come Filippo Guttadauro, cognato di Messina Denaro. Lo scorso 1 febbraio, emerge dall’inchiesta, aveva accompagnato la deputata nella casa circondariale di Tolmezzo approfittandone «per fare visita al boss mafioso, per rassicurarlo dell’impegno relativo alla sua ’causa’, proponendosi di presentare una interrogazione parlamentare tramite l’onorevole», scrivono i magistrati. E ancora: dava istruzioni al figlio di un boss su come parlargli evitando le microspie.

ENTRARE E USCIRE dai penitenziari per accertarsi che i detenuti non collaborassero con la giustizia e fare da messaggero era il suo scopo principale. «Quando entri con un deputato non è come quando entri con i Radicali – assicurava lui – chiudono la porta». E così poteva agire indisturbato. Intanto, incontrava altri fedelissimi del superlatitante: discuteva pure di un progetto riguardante le carceri che sembra stare molto a cuore a Messina Denaro. E si aspettava un «ingente finanziamento» dal padrino, così scrivono gli inquirenti, «non ritenendo sufficienti i ringraziamenti che diceva di aver ricevuto».

SCAVANDO nel suo passato si scopre che il pedagogista radicale qualche problema con la legge lo aveva avuto già: anni fa era stato condannato a 10 anni per traffico di droga. Cosa che preoccupava il boss Dimino, il quale temeva che la sua vicinanza alla parlamentare di Leu inducesse il partito a fare dei controlli. Un padrino, il capomafia di Sciacca, con un passato di fedeltà assoluta al clan Messina Denaro: professione insegnante e imprenditore ittico, ha avuto una fitta corrispondenza con il latitante di Castelvetrano. Con Nicosia stava progettando di uccidere un imprenditore suo compaesano per impossessarsi del suo patrimonio; cercava giovani svegli per fare danneggiamenti alla «Z Costruzioni», impegnata in lavori nel porto di Sciacca, progettava vendette verso debitori, cercava di far soldi coi lavori di ristrutturazione del complesso alberghiero «Torre Macauda»: «Magari ci possiamo guadagnare qualche 50 mila euro», diceva.

Il boss e l’amico stavano anche programmando una fuga negli Stati uniti dove da anni avevano rapporti con mafiosi emigrati. «Dobbiamo fare una cosa per fare soldi», dicevano. Ma i pm sono arrivati prima che facessero le valigie.