Il decreto attuativo dell’assegno unico arriverà in consiglio dei ministri la prossima settimana ma il beneficio scatterà da marzo 2022, e non da gennaio come annunciato dal governo Draghi. La misura sarebbe dovuta a partire a luglio 2021. Il nuovo rinvio è stato giustificato per dare tempo di presentare l’Isee dell’anno precedente sul quale calcolare un importo variabile a seconda del reddito tra i 40-50 euro e circa 180 euro mensili a figlio che saliranno a 240-250 euro dal terzo figlio in poi. Gennaio e febbraio saranno coperti dalla norma «ponte», già approvata dal governo, che interessa in particolare i lavoratori autonomi. Il problema dell’Isee era prevedibile anche sei mesi fa.

***Assegno unico per i figli, una misura «ponte» con molti ostacoli

Si ritiene che la decisione possa fare risparmiare risorse per il 2022 sull’ingente finanziamento pari a 20 miliardi all’anno: 14 arrivano dalla sostituzione delle vecchie misure pro-famiglia (5,5 dagli assegni familiari, 6 dalle detrazioni Irpef, il resto dai vari bonus per figli e mamme), 6 miliardi sono la dotazione aggiuntiva.

Il governo ritiene che questi saldi siano sufficienti per una misura presentata come «universale», al contrario del cosiddetto «reddito di cittadinanza» (costato 24 miliardi in tre anni) destinato non a tutti i «poveri assoluti». In quest’ultima categoria statistica si trovano molte famiglie che avranno diritto all’assegno unico. Dunque, se chi chiede l’assegno per i figli decide di non presentare l’Isee potrebbe essere garantito (così trapelava ieri) 50 euro mensili a figlio: 600 euro all’anno da moltiplicare. Non è molto, ma è già qualcosa. Chi non presenta l’Isee non riceverà mai il «reddito di cittadinanza». E, stando ai dati di ieri dell’Inps, presentarlo non garantisce il suo beneficio.

L’assegno universale sarà invece destinato veramente a tutti, autonomi e dipendenti. Varrà fino ai 21 anni di età di ogni ragazzo, 3 in più dunque dell’attuale assegno temporaneo valido solo per i minorenni. Ma andrà ai genitori e non all’ormai maggiorenne. Il Welfare arlecchino all’italiana, anche quando parla di “universalismo”, non rinuncia mai al familismo e dunque a negare l’autonomia delle persone. Lo stiamo vedendo nel “reddito di cittadinanza”: se ad esempio il capofamiglia compie irregolarità, fa dichiarazioni mendaci o, ancora più banalmente, cambia il suo livello di reddito trovando un lavoro precario è tutta la famiglia a perdere il sussidio.

***Universale ma non troppo, i paradossi dell’assegno unico per i figli

Quali sono i motivi delle differenze così macroscopiche nell’impostazione di fondo tra misure diverse adottate in un unico Welfare? Sono politiche. Sull’assegno c’è stata una grande convergenza di interessi tra tutti i partiti che oggi sostengono il governo Draghi e ampi settori della società, a partire dalla Chiesa. In questo caso l’universalismo è stato stabilito, al di là dei suoi risultati, all’unanimità. Tutto il contrario per il reddito di cittadinanza usato politicamente come una clava contro il Movimento Cinque Stelle, e usato da questo come istanza identitaria. Ciò ha però provocato, e sta provocando in queste settimane, una progressiva regressione verso provvedimento di controllo e esclusione dei beneficiari. I poveri sono sospettati di violare le leggi con il “reddito di cittadinanza”. Ma se sono destinatari dell’assegno per i figli no. Questo problema, ovviamente, non si pone per il “ceto medio” davanti alla cui immagine sociale è inginocchiata la politica. L’idea di fondo sembra essere quella per cui i poveri non votano, le classi medie sì.

Non è chiaro se i percettori del «reddito di cittadinanza» perderanno qualcosa chiedendo l’assegno, o potranno percepire entrambi senza decurtazioni. Non è chiaro se, nell’accorpamento con misure e sgravi precedenti, saranno danneggiati ceto medio e lavoro dipendente. Per evitare che questa situazione penalizzi le donne, quelle che lavorano, la ministra della Famiglia Elena Bonetti (Italia Viva) ha annunciato una maggiorazione nei casi in cui entrambi i genitori siano impiegati. Fonti ministeriali, sulla base dei dati dell’Istat secondo cui circa la metà delle famiglie ha un Isee fino a 15mila euro (il “reddito di cittadinanza” è percepito fino a 9.350 di Isee), ieri hanno sostenuto che circa la metà delle famiglie potrebbe avere diritto all’importo massimo dell’assegno unico. Ipotesi tutta da verificare. Il governo ha parlato di 250 euro, ora sembra che sarà di 180.