La conquista di Tel Abyad da parte dei combattenti kurdi Ypg e Ypj nel Kurdistan siriano ha effetti devastanti sulla politica interna turca. I politici del partito ultra nazionalista Mhp hanno paragonato l’unificazione tra i cantoni di Kobane e Jezira ad «armi chimiche» puntate sulla Turchia.

Il progetto di autonomia democratica del leader del partito dei lavoratori kurdi (Pkk), applicato alla Rojava, fa davvero paura. A margine del consiglio dei ministri di giovedì a cui hanno partecipato alcuni alti funzionari dell’esercito la questione della chiusura della frontiera Sud è al primo posto dell’agenda politica. Erdogan continua ad accusare i kurdi di pulizia etnica di arabi e turkmeni. Li definisce terroristi e un pericolo per l’unità nazionale turca. Quindi non si chiudono più gli occhi alla dogana. Per i profughi siriani in queste ore è impossibile trovare rifugio in Turchia dopo le migliaia che erano scappati dai combattimenti di Tel Abyad e le centinaia di migliaia che avevano trovato rifugio a Gaziantep e Soruc con l’assedio di Kobane dell’autunno scorso.

Anche noi insieme a Riccardo Chartroux e Valter Padovani della Rai e Samuel Forey de Le Figaro siamo stati fermati al confine. Dopo aver firmato un documento di ammissione sull’ingresso illegale in Siria siamo stati portati al commissariato, dove ci è stata commutata una multa per attraversamento illegale del confine e poi siamo stati trasferiti nel carcere di massima sicurezza di Sanliurfa. Tutto questo andando oltre le norme di legge che prevedono o l’uno o l’altro provvedimento. Dopo una notte in cella ci è stata comunicata l’espulsione immediata e un’interdizione di due anni dalla Turchia.

Nel dipartimento immigrazione del carcere abbiamo incontrato altri profughi siriani in attesa di espulsione. «Mi hanno preso mentre tentavo di attraversare il confine, sono stato quattro mesi in prigione a Soruc», spiega Ahmed, che oggi inizia il suo digiuno di Ramadan.

Questa vicenda conferma lo stato di assedio imposto al Kurdistan siriano dalle autorità turche. E dimostra il pugno duro contro la stampa estera stabilito da Erdogan alla vigilia del voto. Eppure decine di attivisti continuano a passare clandestinamente il confine aiutati da smuggler kurdi. La gestione dei profughi clandestini a Tel Abyad sembra invece ancora sotto il controllo dello Stato islamico che ancora spinge i suoi combattenti a trovare rifugio in Turchia. Alcuni di questi sarebbero pronti a vendicarsi sui kurdi turchi per il sostegno assicurato a Rojava. Come potrebbe essere avvenuto nel comizio di Selahattin Demirtas alla vigilia del voto quando l’esplosione di due ordigni che hanno causato 4 morti e centinaia di feriti è stata attribuita dai kurdi ai miliziani di Daesh fuggiti in Turchia.

E il dibattito politico in Turchia resta incentrato sull’instabilità politica. Il leader del partito kemalista Kilicdaroglu ha proposto agli ultra nazionalisti di Mhp di formare un governo di grande coalizione che per funzionare dovrebbe trovare l’appoggio esterno del partito di sinistra filo-kurdo Hdp che ha ottenuto 79 parlamentari nel voto del 7 giugno scorso: un successo senza precedenti. Se entro 45 giorni non dovessero esserci i numeri per la formazione di un nuovo governo si andrà ad elezioni anticipate. Il partito islamista moderato Akp punta a bissare il successo elettorale del 2011 che aveva consegnato a Erdogan la maggioranza assoluta del paese.

Mentre ci imbarcano sul primo volo per Bucarest, non possiamo che denunciare lo stato di assedio permanente a cui è sottoposta Kobane e la Rojava. Questo fa del Kurdistan siriano un’altra Gaza. Ma i combattenti kurdi continuano la loro lotta verso Raqqa e per la liberazione delle loro terre dai jihadisti dell’Isis. La loro battaglia autonoma – né con al-Assad né con le opposizioni – è il primo passo per un Kurdistan comunista, egualitario e indipendente.

«Non ci fermeremo qui. Vogliamo uno stato con kurdi turchi e iracheni», ci diceva Youssef nell’unico bar di Kobane prima che lasciassimo la Siria. «Saremo pronti a criticare il cantone se le cose non miglioreranno ma tutti ora sanno che esistiamo e siamo forti», continua. La Rojava ha bisogno dell’aiuto del mondo per uscire dall’isolamento e nessuna interdizione fermerà giornalisti, cooperanti e attivisti che ogni giorno denunciano le violazioni dei diritti dei kurdi in Turchia.