Sirte precipita nel caos. Nella città natale di Gheddafi, che si trova 450 chilometri a est di Tripoli, sarebbero almeno 106 i morti, tra cui tante donne e bambini, in una settimana di scontri tra jihadisti di Isis e i combattenti della Brigata 166 del cartello di Misurata.

Ieri i miliziani dello Stato islamico hanno attaccato anche un ospedale del quartiere residenziale 3. Sarebbero un migliaio i jihadisti in città grazie ai rinforzi arrivati all’inizio dell’estate che hanno costretto a colpi di mortaio i miliziani Scudo a ritirarsi a circa cento chilometri a ovest dalla città.

Secondo la stampa locale, 22 pazienti dell’ospedale sono stati uccisi brutalmente dai terroristi che hanno dato alle fiamme l’edificio. Quasi tutte le vittime di questi giorni appartengono alla tribù Ferjani di cui fa parte anche lo sheykh Khaled Ben Rjab, brutalmente freddato dai jihadisti.

L’omicidio ha innescato il sollevamento dei salafiti locali, sostenuti dalla popolazione, contro Isis. I jihadisti controllano il porto della città, sottratto al controllo della Brigata 166 che lo aveva conquistato nei mesi scorsi.

Il 17 febbraio scorso le milizie di Misurata, del cartello Fajr (Alba), vicine al parlamento di Tripoli, avevano sottratto il centro di Sirte ai jihadisti di Isis.

Ora attendono direttive da Tripoli per una possibile avanzata verso i quartieri controllati da Isis. Fonti di Tripoli fanno sapere che questo avverrà solo quando saranno arrivati gli uomini e i rinforzi sufficienti per un nuovo attacco.

I jihadisti di Isis hanno ancora il controllo della città di Derna. Lo scorso gennaio un gruppo affiliato allo Stato islamico ha rivendicato un grave attentato all’hotel Corinthia di Tripoli in cui morirono dieci persone.

Si svolgevano lì i primi negoziati per la formazione di un governo di unità nazionale. Nei mesi seguenti i miliziani di Isis hanno sequestrato e sgozzato decine di copti egiziani ed etiopi sulle coste libiche.

Questa nuova crisi arriva a pochi giorni dalle annunciate dimissioni di Abdullah al-Thinni, il premier di Tobruk, il parlamento controllato dall’ex generale Khalifa Haftar.

L’ex ministro della Difesa aveva già rassegnato le sue dimissioni lo scorso aprile poi rimandate al mittente dal parlamento.

Ma l’instabilità politica non manca neppure a Tripoli il cui ex-premier Omar al-Hassi ha lasciato l’incarico a Khalifa al-Gweil, aprendo di fatto una fase complessa di vuoto di potere.

Il caos in Libia rende più concreta la possibilità di un intervento armato nel paese. Per il momento si parla solo di una missione di pace sotto l’egida delle Nazioni unite che potrebbe partire tra poche settimane.

Tuttavia, l’avvio delle operazioni dovrebbe essere successivo alla firma di un accordo di pace tra le due fazioni libiche.

Eppure i primi due giorni di colloqui dell’ultimo round negoziale in corso a Ginevra con la mediazione dell’inviato Onu, Bernardino León, si sono chiusi senza novità di rilievo.

A Tripoli non va giù che la sede del parlamento libico resti a Tobruk e Haftar continui ad essere capo delle forze armate fino alle prossime elezioni. Il parlamento della capitale libica non vede di cattivo occhio una missione di pace a guida italiana.

Tobruk invece vorrebbe un vero e proprio attacco guidato dall’Egitto per rafforzare, armandole, le posizioni del debole parlamento della Cirenaica.