Fatto il taglio dei parlamentari, gli alleati devono ancora lavorare sulle misure «compensative» proposte dal Pd e accettate dai 5 Stelle in una formula – quella del «documento politico» dei capigruppo – che rimanda a successive discussioni. Delle modifiche al bicameralismo paritario e della sfiducia costruttiva gli sherpa della maggioranza hanno parlato quasi solo per accorgersi di avere punti di vista ancora lontani. E rinviare tutto a dicembre. Lontanissima è anche l’intesa sulla legge elettorale. L’esigenza di recuperare almeno un po’ della rappresentatività perduta con il taglio di 345 parlamentari non lascerebbe alternative a una nuova legge proporzionale, ma ogni giorno piove una proposta diversa: modello spagnolo, Rosatellum tris, modello greco. Per le forze minori della maggioranza c’è un problema in più: togliere dalla Costituzione la base regionale per l’elezione del senato, come da richiesta di Leu accettata dai 5 Stelle, garantisce loro la possibilità di avere una delegazione anche nel nuovo senato ristretto. Ma quella modifica costituzionale è anche la via aperta per una legge elettorale con ballottaggio nazionale, sul genere dell’Italicum (già dichiarato illegittimo), che invece per i partiti più piccoli sarebbe pesantissimo.

Persino i tre punti sui quali l’intesa invece c’è ed è solida, non mancano problemi tecnici. Si tratta di piccole modifiche: la equiparazione dell’ elettorato attivo (18 anni) e passivo (25 anni) per camera e senato; la già ricordata eliminazione della base regionale per l’elezione del senato e la riduzione da tre a due dei delegati regionali per l’elezione del presidente della Repubblica (mantenendo la rappresentanza delle minoranze, si dice, ma non sarà semplice garantirlo davvero). Il problema è il modo di trasformare questi impegni in leggi. Gli emendamenti sono già scritti, ma non è detto che il «treno» che la maggioranza ha da tempo individuato sia quello giusto. Si tratta della legge che abbassa a 18 anni l’età di voto per il senato, approvata alla camera e in partenza il 21 ottobre in commissione a palazzo Madama.

I tre emendamenti agirebbero su tre articoli diversi della Costituzione (57, 58 e 83) mentre il disegno di legge originario si occupa solo dell’articolo 58. Soprattutto per la riduzione dei delegati regionali è difficile riconoscere l’attinenza al provvedimento. Inoltre i 5 Stelle hanno fatto presente al Pd di continuare a preferire la via di riforme puntuali della Carta: più che a emendamenti pensano ad almeno un altro disegno di legge costituzionale autonomo. Ma adesso i grillini non hanno voglia di mettere in dubbio l’accordo sul «contesto» che ha permesso l’approvazione quasi unanime del taglio dei parlamentari. Piuttosto confidano nel presidente della commissione affari costituzionali, il leghista Borghesi, e nella sua interpretazione rigida del regolamento.