Chi prevedeva , o voleva, l’esplosione dell’endemica crisi politico-economico-sociale di Haiti ha avuto ieri la sua conferma. Un gruppo di uomini armati hanno dato l’assalto in mattinata alla residenza del presidente Jovenel Moïse uccidendolo e ferendo la moglie, Martine. Uno dei figli è stato testimone dell’assassinio, ma è rimasto illeso. Queste le prime dichiarazioni del primo ministro Claude Joseph, che ha chiesto alla popolazione di rimanere calma, assicurando che polizia ed esercito manterranno l’ordine. «La situazione è sotto controllo – ha affermato -. Stiamo prendendo le misure per la continuità dello Stato».

BEN POCHI, NELL’OPPOSIZIONE e nella società civile, si sono sentiti rassicurati. Perché da mesi, se non anni, dello Stato di diritto si era persa traccia a Haiti. Per responsabilità di Moïse, del suo padrino l’ex presidente Michelle Martelly e del loro partito , il Tét Kale (Phtk). Un partito definito duvalista in riferimento al tristemente famoso François Duvalier, “Papa Doc”, il dittatore che usava le milizie vudù per dominare il paese, tollerato, e nei fatti protetto, dagli Stati uniti. Dopo la deposizione nel 1986 di Duvalier figlio, “Baby Doc”, che era succeduto al padre 15 anni prima, le speranze e i tentativi di costruire istituzioni democratiche a Haiti sono state costantemente frustrate da interventi e interessi esterni neocoloniali, sotto la supervisione Usa.

Il risultato è stato la caricatura di un sistema democratico: dal 2004 non vi è stata alcuna elezione che non abbia visto un aperto intervento esterno in uno degli stati più poveri e conflittuali del mondo, negli ultimi mesi anche sotto il flagello della pandemia.

L’ELEZIONE DI JOVENEL MOÏSE ha rappresentato il capitolo più recente di tale processo. Imprenditore di successo – nella produzione di banane organiche – era sconosciuto ai più quando fu imposto dal suo predecessore. Si trattò di un processo convulso e contestato durato più di un anno e conclusosi con la vittoria di Moïse nel ballottaggio nel novembre 2016 (con 600mila voti su una popolazione di 11,2 milioni di persone) e dell’inizio della presidenza nel febbraio 2017.

L’anno seguente sono iniziate le proteste popolari prima per l’annuncio dell’aumento dei prezzo della benzina, poi per le accuse di corruzione in riferimento al programma Petrocaribe, le forniture di petrolio venezuelano che il defunto presidente Chavez dava come assistenza ai paesi più bisognosi della zona dei Caraibi. E che in Haiti finivano, queste le accuse, in buona parte sotto il controllo del presidente e del suo padrino Martelly.

ALLE PROTESTE POPOLARI per ottenere le dimissioni del presidente si è aggiunta una guerra per bande (armate e criminali) che ha coinvolto tutto il paese (attualmente tre distretti sono praticamente fuori del controllo dell’autorià statale). Bande che secondo l’opposizione sono legate a doppio filo con il palazzo presidenziale.

Come si mantiene il piedi un presidente senza un reale controllo del paese, fortemente contestato e minoritario all’interno e oggetto di critiche anche da parte di quelle forze, come il Core group (Germania, Brasile, Canada, Spagna, Usa, Francia, Ue e Onu) che dovrebbero sorvegliare la salvaguardia dello Stato di diritto a Haiti?

A questa domanda fino all’anno scorso l’opposizione rispondeva indicando la sudditanza di Moïse alla politica di Donald Trump: nel 2019 rompeva le relazioni col Venezuela e riconosceva come presidente l’”autoproclamato” Juan Guaidó. Infine nel novembre dello scorso anno Haiti – unico stato latinoamericano – ha aperto un consolato nel Sahara Occidentale, riconoscendo la sovranità marocchina del territorio e contro la lotta di liberazione del movimento saharawi.

CON LA PRESIDENZA di Joe Biden, l’opposizione e la società civile si attendevano un cambio di linea nei rapporti con un presidente-dittatore, che aveva sciolto il Parlamento, governava per decreti e voleva imporre una riforma costituzionale per riproporre a fine di quest’anno la sua presidenza. Cambio che non vi è stato nonostante la mobilitazione di ampi settori dell’emigrazione haitiana.
E ora, con l’assassinio di Moïse, alla già grave situazione di crisi politico-sociale si aggiunge un altro tema di conflitto: chi assumerà l’incarico di presidente ad interim. Il titolare della Corte suprema è morto per Covid, il premier Claude Joseph deve avere l’approvazione del Parlamento, organo destitutito di poteri da Moïse.

NEGLI ULTIMI MESI, nonostante la politica di terrore del presidente, la società civile organizzata, i movimenti sociali, l’opposizione politica e le organizzazioni di difesa dei diritti umani hanno attuato una linea di protesta cittadina permanente ma pacifica. Una linea appoggiata dai paesi progressisti dell’America latina.